TRANSFEMMINISMO E LOTTA ANTICARCERARIA

La riflessione che ci muove e attraversa come rete anticarceraria verso il B-Side Pride sabato 27 giugno 2020 in piazza Nettuno dalle 13.30 a Bologna.

Più info qui:
https://bsidepride.noblogs.org/
https://marciona.noblogs.org/post/2020/06/22/verso-un-pride-transfemminista-queer/


TRANSFEMMINISMO E LOTTA ANTICARCERARIA

In una civiltà ultra-capitalista dove la giustizia è nelle mani di chi detiene i maggiori privilegi economici, la questione del carcere, ingranaggio centrale del modello eteropatriarcale societario imposto e mantenuto, non può che essere una questione che riguarda tutte e tutti noi.

Nelle carceri ci sono prevalentemente uomini ma questo dato non deve sorprendere, lo Stato patriarcale ha per le donne e le soggettività non cisgender tutta una specifica rete di oppressioni, gabbie e meccanismi di disciplinamento che permeano l’intero arco e contesti di vita dall’infanzia all’età adulta. Ci sono già il marito, la famiglia, il misconoscimento costante, le oppressioni, le violenze, la psichiatria…

Nonostante ciò le prime a scontrarsi con la repressione carceraria sono proprio le donne anche quando il carcere non lo vivono direttamente sulla propria pelle. Donne, madri, mogli, sorelle, cui rimane tutto il peso della famiglia, dei figli, oltre che il compito di sostenere fratelli, compagnx, mariti e padri detenuti, con lo sfinimento che implicano le visite, il pregiudizio della società, della famiglia, dei vicini, le lunghe attese, i controlli e le ispezioni corporali, gli interminabili viaggi di andata e ritorno, le spese sistematiche ed elevate, la perdita della propria vita privata, dei propri sogni e progetti, del proprio lavoro.

E’ ormai evidente come il  carcere non  solo sia risultato  fallimentare  nel proteggere  le  persone  e  le  comunità  dalle  violenze e dalle oppressioni, ma  come sia in verità un ingranaggio centrale nel riprodurle sulle classi subalterne, non solo su uomini migranti e poveri, ma anche e soprattutto sulle donne (cisgender e trans), gli uomini trans, le persone di genere non binario e/o intersessuali.

Chi subisce una violenza e si rivolge al sistema legale non trova protezione alcuna. A volte la polizia allontana l’aggressore per alcuni giorni ma ciò non ferma la violenza. A volte i tribunali emettono un’ordinanza restrittiva, un pezzo di carta che l’aggressore palesemente  ignora.  A  volte  la  polizia  non fa nulla. A volte l’aggressore fa parte della polizia stessa.

Il carcere ha fallito nel proteggere dalla violenza poichè perpetua il ciclo della violenza piuttosto che interromperlo.

Rinchiudere un partner violento può fermare la violenza soltanto temporaneamente, ma non affronta il problema alla radice e crea altre forme di violenza e di abuso.

Lo stesso sistema legale che non è riuscito a proteggere le persone come ‘vittime’, le ha poi punite per essere sopravvissute alle aggressioni: numerose  vittime  di  violenza  domestica sono incarcerate  per  essersi  difese.

Nessuno  sa  quante  sono le soggettività che hanno subito violenza dietro le sbarre  perché  le  forze  dell’ordine, delegate dalla collettività alla ‘sicurezza’, non  sono  riuscite  a  garantire la loro protezione.

Le  sopravvissute  alla  violenza tra le mura domestiche piuttosto che sui luoghi di lavoro o per strada  sono  spesso  ritraumatizzate  dalla  vita  in carcere,  in  modo  particolare  quando  vengono sottoposte alle aggressioni, alle mancanza di cure mediche, all’isolamento o  alla  separazione  dalle proprie  famiglie. La violenza subita all’interno delle mura domestiche si riproduce con la violenza dell’esperienza in prigione.

In carcere le donne (cisgender e trans), gli uomini trans, le persone di genere non binario e intersessuali reclusx soffrono continui abusi sessuali e maltrattamenti sia per mano di altri detenuti, che da parte delle forze dell’ordine o per colpa delle umilianti pratiche quotidiane come la perquisizione corporale, vissuta da molte come forma di stupro.

Le persone transessuali sono tra le comunità più criminalizzate e vulnerabili in carcere: «Le persone transgender non entrano nella classificazione binaria uomo/donna che il carcere stesso produce e consolida socialmente» sottolinea Angela Davis.

Persone queer, trans e gender-variant, proprio   perché   visibili   nella   loro  differenza   di   genere, hanno difficoltà nel trovare lavoro, subiscono allontanamenti da parte delle famiglie, persecuzioni, aggressioni, nelle scuole, per strada, che portano ad esclusione ed emarginazione, aumentando la loro vulnerabilità e il  rischio di incriminazione.

Una volta che le leggi repressive entrano in vigore, il pregiudizio influenza ogni passaggio del sistema giudiziario, aumentando la probabilità che una persona di genere non binario sia fermata dalla polizia, perquisita, arrestata, accusata, condannata, e che sconti un periodo di carcere.

La detenzione risulta inevitabilmente discriminatoria per queste soggettività.

Persone trans  e  queer oltre a vedersi negato un  adeguato  percorso  medico  sia  per  quanto  riguarda l’operazione chirurgica che per le cure ormonali sono  ad  alto  rischio  di  aggressioni  sessuali  e  abusi  in  carcere, in commissariato e nei centri di permanenza temporanea, non-luoghi dove spesso vengono richieste prestazioni sessuali in cambio di “protezione”.

In alcune carceri vi sono sezioni dedicate all’interno degli istituti maschili mentre in altre sono adiacenti alle sezioni femminili. In altre carceri invece le persone transessuali e transgender vengono inserite nei reparti precauzionali insieme ai sex offenders, ai collaboratori di giustizia e agli ex appartenenti alle Forze dell’ordine.

Anche le sex-worker subiscono la repressione del sistema giudiziario e sono soggette alle stesse vulnerabilità.

Con la ‘lotta al degrado’ e all’immigrazione irregolare le città hanno imparato subito ad applicare il Daspo urbano con l’obiettivo di riportare il ‘decoro’ nelle strade e allontanare persone sgradite alla collettività: diverse sex worker sarebbero state allontanate con questo sistema.

Le istituzioni hanno il potere di emanare facilmente il daspo urbano anche a chi viene sorpreso in strada con loro. La criminalizzazione dei clienti rientra appieno nel sistema di vittimizzazione e alienazione delle lavoratrici del sesso, considerate tutte persone da salvare, cui viene negata l’autodeterminazione della propria esistenza e che, oltre a subire lo stigma che colpisce chi lavora nel settore del sesso,  ora rischiano ulteriore  emarginazione a causa delle politiche securitarie sempre piu dure.

L’isolamento dei luoghi dove sono spinte le lavoratrici le rende inoltre più facilmente soggette a controllo e violenze da parte di polizia e clienti.

Come rete anticarceraria siamo qui a ribadire come il sistema penitenziario e il carcere siano l’asse portante del controllo patriarcale attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a funzioni di profitto. Una macchina repressiva sempre più specializzata in ogni luogo che zittisce e neutralizza le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando quelle soggettività che queste contraddizioni esprimono e subiscono sottoforma di molteplici oppressioni.

Pensare che il carcere sia necessario non è nient’altro che quel che ci hanno fatto credere. Dobbiamo ricercare una nuova logica, diversa da quella imposta dal sistema eteropatriarcale.

Il giustizialismo prescinde dalle cause e considera i crimini esclusiva responsabilità delle persone che li commettono, per cui le uniche contromisure che si adottano in merito sono basate sul castigo.

Il punire individualmente e nella maniera più dura, si scontra frontalmente con l’obiettivo di lavorare a intersezioni che agiscano nei conflitti sociali in maniera proficua e vitale.

Se parliamo della violenza maschilista come una serie di problemi individuali scollegati fra loro otterremo soltanto l’invisibilizzazione della loro reale causa: la struttura etero patriarcale.

Combattere  per  un  mondo oltre il carcere, dove  siamo  tutti  e  tutte  libere dalla  violenza, dalla povertà, dal razzismo, dagli abusi e da ogni forma di oppressione, non può prescindere dalla riflessione transfemminista.

Per riprendere la Davis, fervente abolizionista del sistema carceraio, più che porre l’accento su chi perpetra la violenza, bisognerebbe interrogarsi sulla violenza come istituzione,  sull’istituzionalizzazione  dei  meccanismi  di violenza  e  sulle discriminazioni di genere che le istituzioni incarnano tramite l’intervento paternalista e patriarcale.

La violenza di genere non e’ un problema di ordine pubblico, per questo riteniamo importante promuovere e sostenere tutte le attività che mirino a stravolgere in modo radicale e nel profondo la cultura patriarcale e machista che ancora oggi tiene in piedi questo sistema basato sullo sfruttamento che si riproduce nelle relazioni individuali e collettive.

E’ necessaria una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione razziale, di classe e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste le carceri. Ed è proprio il rifuto di ogni binarismo che oggi ci invita alla ricerca di formule nuove per esprimere i rapporti di forza e oppressione e destituire poteri e privilegi.

Come rete anticarceraria crediamo sia importante individuare convergenze e intersezioni che possano farci riflettere insieme e sviluppare pratiche per prevenire e affrontare il problema della violenza, contro le carceri e contro il dominio patriarcale, di qualsiasi genere.

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

LA NECESSITA’ DELL’AMNISTIA SOCIALE

Aderiamo all’appello della rete cittadina Stop Decreti Sicurezza

Sono quasi cinquantaquattromila le persone private della libertà che affollano le carceri italiane.

Cinquantaquattromila persone costrette a spartire celle già anguste con migliaia di persone in più rispetto alla loro capienza regolamentare, determinando un sovraffollamento che impone una forzata prossimità e che annulla di fatto il rispetto di quella dignità umana che di diritto dovrebbe competere a chiunque.

In questi giorni in cui un’emergenza sanitaria ci impone il confronto con la vulnerabilità dei nostri corpi, dopo aver vissuto le nostre abitazioni come luoghi di reclusione forzosi, non possiamo non rimettere al centro di un ragionamento politico all’altezza della fase chi vive una vulnerabilità e una reclusione più assoluta e disperante: quella di decine di migliaia di persone il cui diritto alla incolumità e alla salute è stato negato, salvo qualche debole misura scarcerativa applicabile solo ad un numero esiguo di reclusi, dal decreto “Cura Italia”.

Ma se ieri si è voluta ignorare l’urgenza delle problematiche carcerarie, l’emergenza di oggi rende indifferibile la necessità di una soluzione.

Se guardiamo dentro questi luoghi reietti con occhi liberi dall’istigazione giustizialista di chi ha avuto interesse a trasformare le problematiche sociali in questioni di ordine pubblico, quello che vediamo è una popolazione socialmente ben definita: a riempire le celle sono i poveri, i marginali, i tossicodipendenti, gli stranieri, i senza fissa dimora, gli attivisti politici che contestano un modello politico ed economico che produce e alimenta iniquità sociale e che autorizza il saccheggio finanziario di beni pubblici e territori. La composizione sociale della popolazione detenuta ci rende immediatamente manifesta quale sia la funzione oggi affidata al carcere: disciplinare la povertà, contenere la marginalità e ammutolire il dissenso.

Al depauperamento progressivo delle risorse destinate al welfare state, alla crisi finanziaria dell’ultimo ventennio, al conseguente aumento dei cittadini privi di un reddito sicuro, o almeno dignitoso, e delle lotte sociali a questi processi collegate, il carcere è diventata la risposta privilegiata, la principale agenzia deputata al contenimento del disagio sociale e delle difficoltà economiche: laddove non arriva la tutela pubblica interviene la cella.

Sempre più, anche (ma ovviamente non solo) con l’utilizzo di strumenti quali l’Alta Sorveglianza o il regime di 41 bis, il carcere è pensato come un contenitore separato dalla società ed opaco, nel quale gettare tutto ciò che è scomodo, non gradito o non confacente al modello della società del “decoro”, la nuova parola d’ordine che ha informato i decreti sicurezza degli ultimi vent’anni.

La funzione della prigione come reclusorio sociale spiega la relazione apparentemente paradossale tra la costante diminuzione dei reati negli ultimi vent’anni e il costante aumento della popolazione reclusa. Nello scegliere selettivamente la propria utenza, il carcere svela dunque la verità della propria funzione: non un luogo destinato alla rieducazione e alla risocializzazione del condannato, come vorrebbe un alibi formale che non regge più e la cui legittimità è sempre stata e resta discutibile, ma un non luogo sordido, spesso fatiscente, nella cui miseria materiale stipare il disagio e reprimere il dissenso.

Nelle ultimi mesi questi non luoghi derelitti sono stati lo scenario di episodi balzati alle cronache dei media ma non all’attenzione del governo. Il diffondersi del panico tra i reclusi a seguito delle allarmanti notizie relativi alla pandemia da Covid19 e le ulteriori restrizioni imposte ai detenuti, hanno portato ad una serie di rivolte che hanno investito le prigioni di tutto il Paese.

I morti, i feriti, i trasferiti (di molti dei quali neppure le famiglie, dopo diversi giorni, hanno potuto avere notizie) causati da queste sommosse e le relative ritorsioni contro i detenuti individuati come rivoltosi, ci urlano che non si può più attendere, e che è ormai indifferibile una decisione che serva realmente a svuotare la carceri – senza dimenticare le strutture detentive per stranieri (CPR) – e sia l’inizio di una seria e rinnovata discussione sulla finalità della pena e sul senso che il carcere può avere nella attuale società.

E’ allora giunto il momento non solo di parlare di un provvedimento di amnistia ma di adottarlo, e di farlo subito. Un provvedimento che vada al di là del ridottissimo effetto dei recenti interventi emergenziali, e che consenta di guardare con lucidità, oggi, in tempo di pandemia sanitaria, alla pandemia penalistica che ha fagocitato la giustizia italiana negli ultimi decenni, spostando nelle carceri gli effetti della crisi economica e della incapacità della politica di farsi anche mediazione. Effetti, non da ultimo, che l’emergenza sanitaria di oggi, con le gravissime ripercussioni che avrà nel breve e nel lungo periodo sull’economia generale del nostro Paese, ricadranno su una fascia sempre più ampia di soggetti sociali, destinati ad ingrossare le fila già affollate degli indigenti.

Per questo riteniamo che un urgente provvedimento di amnistia riguardi tutti: nell’immediato oggi chi rischia di morire in cella e nel prossimo domani chi rischia di ritrovarsi il carcere come unica risposta ai problemi sociali che questa ennesima crisi è destinata ad inasprire.

E’ necessario mettere in campo un’iniziativa politica, culturale e sociale per contrastare quel clima di “panico morale” seminato per giustificare le logiche giustizialiste e manettare che hanno prodotto l’attuale ipertrofia penitenziaria e la penalizzazione del conflitto sociale; per contrastare il “populismo penale” che si ripromette, senza andare troppo per il sottile, di risolvere i problemi sociali del neoliberismo a colpi di codice penale, lasciando però irrisolte le contraddizioni che produce.
Quello stesso populismo che confida ciecamente nello stato e nei suoi apparati e che nega ogni forma di garantismo, considerato un inutile orpello politically correct quando si tratta di applicarlo ai soggetti più deboli ma la cui legittimità viene poi invocata quando serve ad assicurare impunità ai soggetti più forti.

Così, infatti, i decreti sicurezza Minniti/Salvini (poi diventati legge) hanno prodotto dettami pervasi da una logica emergenziale, cuciti su misura delle diverse dinamiche sociali. Ci sono normative specifiche per i migranti; ci sono quelle per gli scioperanti; ci sono quelle per chi occupa le case o gli spazi sociali; ci sono quelle per chi va allo stadio; ci sono quelle per chi manifesta nelle strade e nelle piazze; ci sono quelle per chi critica con parole e scritti le azioni dei governi e delle classi dirigenti.

Se non vogliamo lasciare le sfide che ci aspettano nell’immediato futuro alla politica della repressione e della punizione occorre l’intervento di una cultura capace di raccoglierle e di rilanciarle in un nuovo paradigma sociale di cui la richiesta di amnistia può farsi punto di partenza.

Rete cittadina Stop Decreti Sicurezza
Associazione Bianca Guidetti Serra
Associazione di Mutuo Soccorso per il diritto di espressione
Associazione Primo Moroni
Circolo Anarchico Berneri
Làbas
Laboratorio Crash
Laboratorio Smaschieramenti
Noi Restiamo
Potere al Popolo – Bologna
Rete bolognese di iniziativa anticarceraria
Rete dei Comunisti
S.I.Cobas
TPO
USB – Federazione del Sociale
VAG61
XM24

Adesione all’appello per una convergenza cittadina e regionale dei percorsi di lotta.

Come rete anticarceraria aderiamo all’appello per una convergenza cittadina e regionale dei percorsi di lotta che vede insieme sindacalismo di base e realtà sociali. 
 
Il corteo regionale è previsto sabato 20 maggio 2020 alle 16:30 in Piazza XX Settembre a Bologna. 
 
Comunicato di adesione (pdf)
 
Crediamo sia importante portare una voce sul carcere perchè quello che succede dietro quelle mura riguarda tutte e tutti.
 
I media ufficiali hanno raccontato le rivolte come momenti di follia, barbarie. Quello che ci è chiaro qui fuori è che quei momenti vanno letti al di là dell’ottica emergenziale, poiché rappresentano l’esplosione di una rabbia più profonda, radicata nella violenza legalizzata che è costretto a vivere sulla sua pelle ogni giorno chi è reclusx in carcere. 
 
Nei teatrini televisivi assistiamo a spettacolarizzazioni mediatiche che attribuiscono alle rivolte una regia occulta, prima la mafia, poi gli anarchici, che si sbattono pure in prigione a scopo preventivo, mentre è il carcere che uccide.
 
In carcere si muore, di carcere si muore, oggi come ieri, oggi piu di ieri. 
 
Alle quattordici morti durante le rivolte, cui è seguito un silenzio assordante, liquidate come morti d’overdose prima ancora di una qualsiasi autopsia, si aggiungono le ventidue per suicidio dall’inizio dell’anno, tre delle quali avvenute in “isolamento sanitario precauzionale”, le morti per covid e tutte le morti di carcere di ogni giorno.
 
Questa pandemia ha portato allo scoperto l’incompatibilità della condizione detentiva con il rispetto del diritto alla salute, non solo per le condizioni igieniche delle carceri, per il sovraffollamento e una sanità assolutamente inadeguata e inesistente già in condizioni normali, ma strutturalmente: il carcere è in sè stesso l’antitesi della salute, della prevenzione e della cura per la violenza e la deprivazione su cui si fonda come istituzione. 
 
Gli infiniti vincoli e procedure che regolano la vita tutta all’interno degli istituti di pena, alla mercé completa della discrezionalità di guardie e direzione, è la prima fonte di deterioramento della popolazione detenuta. Isolamento, solitudine, sradicamento, impossibilità di comunicare. A volte basta un gesto di nervosismo per vedersi impedito un permesso o altri benefici. L‘impatto con l’immobilità del tempo, con la restrizione dello spazio annienta le soggettività che lo attraversano, distrugge corpi e menti, genera handicap, disturbi e malattie psico-somatiche.  
 
Si parla di diritto alla salute ma al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di provocare  malattia, menomazione e anche di uccidere.
 
A proposito di salute, a Bologna, che ha visto due morti per covid, il responsabile di medicina penitenziaria dell’Ausl ha disposto che il personale sanitario interno al carcere non indossasse le mascherine facendo dilagare il virus tra detenutx, guardie e operatorx sanitari, oltre che in altre carceri a causa dei trasferimenti e delle deportazioni punitive, questo perchè l’adozione dei dispositivi sanitari avrebbe rischiato di far crescere nuovamente la tensione tra i prigionieri. A Ferrara, nell’ambito delle accuse ai tre agenti di polizia penitenziaria per reato di tortura, un’infermiera del carcere è imputata per false attestazioni.
 
In carcere la salute si chiama omertà.
 
Gli isitituti di pena si mostrano per quello che sono: macchine sempre più specializzate che zittiscono e neutralizzano le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando i soggetti sociali che queste contraddizioni soffrono sotto forma di molteplici oppressioni.
 
Chiediamoci sempre chi è che quasi sistematicamente finisce in carcere, in una civiltà ultra-capitalista dove la giustizia è quasi sempre nelle mani di chi detiene i maggiori privilegi economici: il carcere è una  prospettiva sempre piu concreta per chi non arriva alla fine del mese, per le fasce oppresse dalla società, le ultime e gli ultimi, per chi lotta, per coloro che risultano meglio inter-cambiabili all’interno di  un’economia nella quale non siamo che bulloni, l’umanità-manovalanza, spendibile, spremibile, rovinabile a buon prezzo e che troppe volte dentro ci finisce e resta perchè non ha i “contatti giusti” o non può permettersi un buon avvocato. Per questo, la questione del carcere, ingranaggio centrale del modello societario imposto e mantenuto, non può che essere una questione di classe che riguarda tutte e tutti noi.
 
Gli agenti indagati con l’accusa di pestaggi e torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e Ferrara  balzati alle cronache in questi giorni sono la punta dell’iceberg del sistema che combattiamo!
 
La paura fisica, le botte, la violenza, sono l’aspetto principale della detenzione. Il pestaggio è lo strumento del potere interno, il suo mezzo di controllo.
 
Infatti a fronte delle richieste di indulto, amnistia, salute, dignità e libertà della popolazione detenuta, quello che è arrivato sono trasferimenti punitivi e torture, manganelli sulle braccia, sulle mascelle, sui genitali, persone fatte spogliare e picchiate senza ritegno,  messe in isolamento, costrette a firmare fogli nei quali dichiaravano di essere accidentalmente cadute, trasferite in altri istituti attraverso vere e proprie deportazioni punitive.
 
Il carcere è uno strumento di controllo sociale e negazione centrato sulla violenza, ma ci accorgiamo del male che produce solo in situazioni di emergenza.

E non si tratta solo di sovraffollamento, troppo spesso coloro  che  parlano  di  sovraffollamento  nelle  prigioni sono gli stessi che le hanno riempite fino a farle scoppiare, giocando sulla paura delle persone. Non si tratta di costruire altre prigioni, ma di svuotare quelle già esistenti!

Il Dap invece proprio qualche giorno fa ha fatto sapere che si torna alla normalità, ‘l’emergenza sta rientrando’: Bernando Petralia e Roberto Tartaglia, rispettivamente capo e vice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno firmato il documento che prevede la sospensione della circolare sulle scarcerazioni legate all’emergenza covid. Ma ad oggi, nonostante le rivolte e nonostante gli istituti di pena stiano esplodendo dal punto di vista sanitario e in generale per le condizioni di “vita” al loro interno, sono pochissimx quellx che hanno potuto beneficiare delle misure alternative!
 
Crediamo sia urgente una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione di classe, di razza e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste tutte le prigioni (che ne sono lo specchio), le frontiere, i centri di detenzione e rimpatrio per migranti, che hanno dimostrato anch’essi, come le carceri, la loro funzione, una macchina del ricatto per gli interessi di pochi, che ammette che ci siano vite che valgono meno, sacrificabili.
 
Siamo qui per riportare il tema delle istituzioni totali alla collettività.
 
Sentiamo il bisogno di sottolineare l’importanza della solidarietà con chi lotta dentro e fuori le prigioni per rompere il filo spinato dell’omertà che avvolge queste istituzioni, affinchè le richieste di indulto, amnistia e libertà urlate a gran voce da tuttx i reclusi vengano ascoltate!
 
Nella tregua di quest’emergenza sanitaria, ritorniamo in piazza con la consapevolezza che non è come se nulla fosse successo in questi mesi!

Lottare per un mondo oltre il carcere, per la chiusura di tutti i CPR  e la libertà di tutti i reclusi è un passo per la libertà di tutte e tutti noi!

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

 



Il testo della chiamata e il manifesto dell’iniziativa:

https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/events/appello-per-una-convergenza-cittadina-e-regionale-dei-percorsi-di-lotta/

Sull’ennesima operazione anti-anarchica

E’ una campagna repressiva a tutto tondo quella a cui si sta assistendo.
 
Una campagna repressiva col preciso intento di colpire le anarchiche e gli anarchici e spaventare preventivamente chi lotta dentro e fuori le carceri.  Il pugno duro per intimidire e segnare bene un confine da non oltrepassare che sia di monito a tuttx, giocando oggi come ieri sulla divisione tra ‘buoni’ e ‘cattivi’. Lo spauracchio del terrorismo per ridare ‘lustro’ al potere dello Stato e della sua intoccabilità, rinforzando l’idea di una fortezza-Stato e di un‘autorità inespugnabile ed inevitabile, per scoraggiare espressioni di malcontento, o insurrezioni di qualsiasi genere.
 
Proprio mentre in carcere si muore e altrove le strade sono accese dalla ribellione, in un momento in cui anche guardie e sbirri vivono un momento di frustrazione, dare in pasto loro questi arresti diventa una strategia per rispondere al bisogno di riconoscimento dei ‘servitori dello Stato’, un contentino strumentale ai giochi mediatici di massa con lo scopo di restituire prestigio alle strutture del dominio ribadendo a tuttx che non si attacca il potere. 
 
L’esercito è l’istituzione base sulla quale si identificano tutte le istituzioni totali che perpetrano lo sfruttamento della nostra società ed il carcere è l’istituzionalizzazione piu dura dei  meccanismi  di  violenza e di genere che le istituzioni esprimono.
 
Si sbattono in prigione le anarchiche e gli anarchici, tirando fuori dal cappello inchieste a tutto spiano per isolare le lotte e coltivare attendismo, mentre carcere e repressione diventano sempre più una prospettiva reale per chi solidarizza con i detenuti e con le lotte anticarcerarie, per chi sostiene idee e pratiche di azione diretta e liberazione che non rimandino la vita a domani, per chi lotta per la riappropriazione dei propri bisogni, per chi sostiene gli spazi sociali liberi e autogestiti, per chi non si arrende ad un destino di oppressione, sfruttamento e annientamento. La sproporzione della violenza viene ribaltata dalla narrazione mediatica. La prevenzione diventa vera e propria persecuzione. Pugno duro, nero e strategico. Colpirne pochi per educarne cento, la repressione ai tempi della Pandemia non perdona e anzi, recupera dal passato in ottica ‘preventiva’ sul futuro.
 
Una strategia della tensione per reprimere, con il potere dell’esercito e il pretesto della difesa della Patria, chiunque intenda mettere in discussione le strutture del dominio e dell‘oppressione.
 
L’obiettivo è nascondere le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo castigando e criminalizzando i soggetti sociali che queste contraddizioni esprimono. 
 
Solidarietà ai compagni e alle compagne anarchiche colpite dalla repressione e a chi lotta dentro e fuori le prigioni per un mondo libero dallo sfruttamento dell’unx sull’altrx!
 
Rete bolognese di iniziativa anticarceraria


Come rete anticarceraria aderiamo al presidio in solidarietà con gli/le anarchici/che colpiti/e dall’operazione “Bialystok” venerdì 19 giugno alle 18 in Piazza dell’Unità a Bologna.

 

 

I CAN’T BREATHE – PRESIDIO SOLIDALE

ADESIONE DELLA RETE BOLOGNESE DI INIZIATIVA ANTICARCERARIA AL PRESIDIO SOLIDALE PREVISTO MERCOLEDÌ 10 GIUGNO IN PIAZZA DELL’UNITÀ A BOLOGNA

Essere neutrale nei tempi, nei luoghi e nelle funzioni che preservano l’ingiustizia vuol dire stare dalla parte dell’oppressore.
 
Per riprendere la Davis, fervente abolizionista del sistema carceraio, più che porre l’accento su chi perpetra la violenza, bisognerebbe interrogarsi sulla violenza come istituzione,  sull’istituzionalizzazione  dei  meccanismi  di  violenza  e  sulle discriminazioni di genere che le istituzioni incarnano tramite l’intervento paternalista e patriarcale.
 
Come rete anticarceraria siamo qui a ribadire come il sistema penitenziario sia l’asse portante di un controllo demografico attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a funzioni di profitto. Una macchina sempre più specializzata in ogni luogo che zittisce e neutralizza le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando i soggetti sociali che queste contraddizioni le soffrono sotto forma di molteplici oppressioni.
 
Un quarto di tutti i detenuti del mondo è nelle galere a stelle e strisce (nonostante il Paese abbia appena il 5% della popolazione mondiale). Un numero impressionante se paragonato con altri Stati. 655 detenuti ogni 100mila abitanti. Il doppio del secondo in classifica (la Turchia) e del terzo (Israele). Sei volte più della Francia. Quasi 7 volte in più dell’Italia.
 
Le risposte al problema del sovraffollamento causato dalle politiche attuate e del conseguente aumento dei costi di gestione hanno portato da subito a far crescere la privatizzazione carceraria: il carcere è diventato un business redditizio, i detenuti manodopera gratuita da sfruttare.
 
L’ideologia del terrorismo, mostro mediatico, ha alimentato islamofobia e razzismo criminalizzando le comunità già oppresse.
 
La maggior parte della popolazione carceraria statunitense è composta da minoranze etniche. Un afroamericano su 9 fra i 20 e i 34 anni è attualmente in prigione. Uno su tre, nel corso della propria vita, finirà prima o poi in carcere. Gli ispanici hanno una probabilità di finire in carcere 4 volte maggiore rispetto ai bianchi. 
 
Una volta che le leggi repressive entrano in vigore, il pregiudizio razziale influenza ogni passaggio del sistema giudiziario, aumentando la probabilità che una «persona di colore» sia fermata dalla polizia, perquisita, arrestata, accusata, condannata, e che sconti un periodo di carcere. Statisticamente è principalmente alle persone bianche che viene concessa una seconda possibilità, o il beneficio del dubbio.
 
La Guerra alla ‘droga’, altro mostro mediatico ed elettorale, è stata un fallimento totale a costi umani e finanziari enormi. Non solo non ha ottenuto nessun risultato, come ci raccontano i laboratori antiproibizionisti, ma rimane il fattore determinante che alimenta il sistema carceri. L’applicazione della legge come al solito è mirata alle comunità e alle soggettività che sono meno in grado di difendere se stesse riproducendo in tal modo la disparità razziale nella popolazione carceraria.
 
Disparità razziale e non solo.
 
Le donne, oltre alla repressione, soffrono continui abusi sessuali e maltrattamenti. 
Idem  chi non è conforme, chi vive una fragilità psichica, chi non regge il peso dellisolamento forzato
Le transessuali sono tra le comunità più criminalizzate e vulnerabili: «Le persone transgender non entrano nella classificazione binaria uomo/donna che il carcere stesso produce e consolida socialmente» sottolinea Angela Davis.
 
E’ necessaria una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione razziale, di classe e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste le carceri. Ed è proprio il rifuto di ogni binarismo che oggi ci invita alla ricerca di formule nuove per esprimere i rapporti di forza e oppressione e destituire poteri e privilegi.
 
Le istituzioni totali, durante questa pandemia stanno mostrando tutte le loro contraddizioni e rivelandosi per quello che sono: un deposito dove accumulare persone che non hanno il diritto di essere considerate tali. 
 
Luoghi in cui vengono rinchiusx tuttx quellx la cui vita conta di meno: perché criminali, perché ‘anziani‘, perché ‘migranti’, perchè ‘psichiatrici’, ‘disabili’ o ‘malati’, perchè ‘non conformi‘, perchè ‘improduttivi‘.
 
Nelle carceri, nei reparti, nelle strutture psichiatriche, si muore oggi come ieri. Di Tso, contenzione, abbandono, esclusione.
 
In nome delle frontiere ogni giorno i migranti e le migranti in fuga da guerra e povertà subiscono controlli razziali, rastrellamenti, violenze e deportazioni. Tutto questo avviene nelle stazioni dei treni, negli areoporti, nelle questure e nei campi di accoglienza delle nostre città, come ci ricorda bolognanoborders.
 
Abbiamo già accettato questo destino nel momento in cui accettiamo l’esistenza di queste istituzioni, di queste frontiere, di questi muri, di queste gabbie. Spazi dove la libertà sparisce e dove il controllo regna tra repressione, oggettivazione, alienazione, medicalizzazione e psichiatrizzazione.
 
Quelli  che  ci  parlano  di  sovraffollamento  nelle  prigioni sono gli stessi che le hanno riempite fino a farle scoppiare! Per noi non si tratta di costruire altre prigioni, ma di svuotare quelle già esistenti.
 
E’ necessaria oggi un’insurrezione contro il dominio,  contro qualsiasi forma il dominio possa assumere, partendo dalla destituzione di quelle istituzioni che continuano a ripordurlo, altrimenti nessun cambiamento sarà possibile.
 

L’unica sicurezza è la libertà!

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria


QUALCHE FOTO DEL PRESIDIO

Operazione ritrovo – liberx tuttx

A poche ore dal corteo di sabato 30 maggio i compagni e le compagne presi in ostaggio dallo Stato nell’operazione ritrovo sono statx tuttx liberatx. Per alcunx è caduta ogni misura cautelare, mentre ad altrx è stata applicata la misura dell’obbligo di dimora e di rientro serale.
L’accusa di essere “un’associazione finalizzata al compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano” è caduta per tuttx, a dimostrare come lo spauracchio del terrorismo sia sempre stato un pretesto addotto dalla Procura per fomentare l’opinione pubblica contro gli anarchici e le anarchiche e tentare di spezzare la solidarietà e le convergenze tra le lotte. Se c’è ancora qualcunx persuasx della necessità e della possibilità di una trasformazione sociale globale, meglio sbatterlo in prigione. L’obbiettivo di questa logica totalitaria è che nessun cambiamento deve essere  possibile.
È stata la stessa
Procura ad ammettere la finalità preventiva di tale operazione, con un’attenzione specifica sulle mobilitazioni anti-carcerarie.
 
Tra la gioia di poter riabbracciare compagne e compagni, vogliamo ribadire che solo la lotta paga.
 
Quando lo Stato gode di poco consenso la carta della ‘guerra contro il terrorismo’ appare per riguadagnare il ‘prestigio’ perduto, ma la loro prevenzione non fermerà la nostra voglia di libertà e la solidarietà con chi lotta per un mondo migliore. 
 

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

Contro i padroni di merda, contro tutti i padroni!

La Procura in tempo di emergenza olea i meccanismi della repressione per colpire chiunque si oppone apertamente alle condizioni di sfruttamento cui è sottopostx/sono sottoposte gli/le altre.
 
Questa volta è toccato agli/alle attivistx del collettivo Hobo, che qualche giorno fa hanno ricevuto “visite” della Digos a casa, per notificare 5 divieti di dimora e 1 divieto di avvicinamento. 
L’inchiesta, messa in piedi dal PM Guastapane, attacca frontalmente 19 maschere bianche imputando loro le accuse di: tentata estorsione, lesioni personali, violenza privata, diffamazione, imbrattamento di cose altrui, disturbo delle occupazioni pluriaggravati in concorso e utilizzo di mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico. 
 
Gli/le attiviste colpite dalle misure cautelari mesi fa hanno creato una pagina facebook, “il padrone di merda”, in cui vengono postati video di denuncia verso attività commerciali e società che schiavizzano le loro dipendenti, con stipendi e contributi mai versati, mobbing e molestie di ogni tipologia.
 
Nell’ambito di una profonda crisi economica e sociale destinata ad ampliarsi in maniera esponenziale in seguito alla pandemia, lo Stato si appresta ad affrontare in termini di controllo sociale e repressione quasiasi tipo di rivendicazione diretta, in linea con la circolare del ministro Lamorgese, che invita prefetti e questori a preservare le strutture della legalità e del dominio, e ad alzare il tiro su chi intende lottare.
 
Come rete bolognese di iniziativa anticarceraria esprimiamo solidarietà agli/alle attiviste colpite della Procura e invitiamo a sostenere il loro crowdfunding per le spese legali https://www.gofundme.com/f/finanziamento-spese-legali-per-il-padrone-di-merda?fbclid=IwAR1R1v8MDsNjF37DlY9t-HqmXUeJmvrZ0m5hTXN0qpdfW_xs8mVpak6rn4A
 
Contro i padroni di merda, contro tutti i padroni!
 

Biciclettata/presidio venerdì complici e solidali con gli/le arrestate

In questo momento come rete anticarceraria pensiamo sia importante non lasciare le compagne e i compagni soli, perché la nota della Procura, nero su bianco è gravissima e ci tocca tutte e tutti, e in particolare chi di noi si era raccolto/raccolta intorno alla mobilitazioni sul carcere.

Le istituzioni totali esistono ancora, tra violenza e abbandono, con le persone dimenticate dentro. Con la situazione esasperata dall’emergenza, ‘dentro’, tutte queste persone si stanno ammalando, sempre di più, stanno morendo e continueranno a morire, vittime sacrificali di questa pandemia e di questo sistema.

Di istituzioni totali tocca parlarne, oggi più che mai, gli anarchici lo hanno sempre fatto ma la procura ha voluto farci sapere che non conviene avvicinarsi e sostenere queste lotte, 
proprio per spezzare quella solidarietà che stava sostenendo le rivolte dei detenuti, mettendo in luce i pestaggi e il silenzio seguito a quei giorni, per chiedere indulto, amnistia e libertà per tutte e tutti.

Quest’ennesima operazione repressiva dimostra come il carcere, strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, stia diventando ogni giorno sempre di più un orizzonte concreto per gli oppressi e le oppresse, che non si adeguano, che non vogliono o non possono diventare conformi, che lottano, che credono in una prospettiva altra. Descrivere chi vive la solidarietà come “istigatore” è l’ennesimo tentativo manipolatorio dello Stato.

Ciò che spaventa di più il potere è l’esistenza di individualità che di fronte alla glaciazione sociale e alla fine apparente di ogni critica allo Stato e al capitale continuano ad alzare la testa sfidando la tirannia dell’autorità e della merce, contro le strutture del dominio e dello sfruttamento.

L’obbiettivo strumentale la Procura lo scrive nero su bianco: prevenire tensioni sociali e spezzare le lotte anticarcerarie.

Un sabotaggio del 2018 torna fuori in tempi di emergenza a scopo preventivo, per colpire tutte quelle individualità che sostengono apertamente l’azione diretta; allo Stato non rimane che immobilizzare l’idea, nella vana speranza che in tal modo anche la necessità della lotta si esaurisca.

Il potere teme tutti i piccoli segni di insoddisfazione e agisce ‘preventivamente’ brandendo il 270bis, sperando di mettere a tacere le lotte , criminalizzando chi solidarizza coi compagnx dei detenuti e con le mobilitazioni anticarcerarie, chi frequenta gli spazi sociali che rifiutano di legalizzarsi, chi non si arrende a questo sistema basato sullo sfruttamento, chi non fa dell’obbedienza virtù.

L’effetto che si spera di ottenere è rinforzare l’attendismo e il senso di rassegnazione, la paura, un’intimidazione verso chiunque scelga apertamente di sfidare il potere.

Noi pensiamo invece che sovvertire le ingiustizie è una responsabilità di tutte e tutti!

Siamo complici e solidali con le/i comapagnx arrestatx, e con chiunque chiunque lotti e si ribelli contro le strutture del dominio e dello sfruttamento, per un mondo di liberx e uguali.

Terrorista è lo Stato che spegne le coscienze e soffoca il dissenso.

Tuttx liberx

Venerdì 2 maggio aderiamo alla bicicettata fino alla Dozza e al presidio!
Ore 17:00: Concentramento in Piazza dell’Unità
Ore 18:00: Presidio sotto al carcere

CONTRO IL VIRUS DELLE MONTATURE GIUDIZIARIE

Aderiamo ad un comunicato congiunto con le altre realtà bolognesi in solidarietà degli/delle arrestate.

Il 13 maggio a Bologna sette compagne e compagni anarchic* sono stati arrestati e altr* cinque sottopost* ad obbligo di dimora con l’accusa assurda di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico.
Si tratta di compagne e compagni che negli ultimi mesi si sono distint* per aver espresso solidarietà ai detenuti e ai loro familiari di fronte ai  14 morti nelle rivolte di marzo, e in un momento in cui le carceri sovraffollate sono diventate immensi focolai di contagio.
Stupefacenti le dichiarazioni della Procura, che giustificano  un’imputazione abnorme sulla base di un unico fatto specifico, il danneggiamento di un ponte ripetitore nel 2018, la cui attribuzione è tutta da dimostrare.
Bizzarro che a distanza di due anni si tiri fuori questa inchiesta, come un coniglio dal cappello, proprio nel momento in cui  si allarga la solidarietà ai detenuti.
Il messaggio è chiarissimo: su ciò che succede nelle carceri vige l’obbligo del silenzio, sulle violenze subite dai detenuti, sui trasferimenti punitivi, sull’assistenza e prevenzione sanitaria inesistenti, sull’estendersi dell’epidemia e i morti di Covid dietro le sbarre.
Un altro elemento che emerge con  chiarezza dal comunicato della Procura è l’invenzione di un nuovo reato: quello di opposizione politica.
Viene contestata agli indagati la loro attività contro i centri per la deportazione forzata dei migranti e l’adesione alle campagne anticarcerarie, considerando come fatti eversivi l’organizzazione di manifestazioni non preavvisate, le scritte sui muri, la realizzazione e diffusione di opuscoli, articoli e volantini.
Pratiche consuete e diffuse di tutti movimenti di lotta, da chi difende i territori dalle devastazioni ambientali, a chi si muove per affermare il diritto alla casa, al reddito, agli spazi sociali, alla dignità del lavoro.
Quanta ipocrisia nelle istituzioni che si esprimono contro il regime militare egiziano che incarcera lo studente Patrick Zaki per reati di opinione, e restano in silenzio in patria davanti a degli arresti di cui la stessa Procura dichiara la natura  preventiva, al fine di  impedire che, come annunciato recentemente anche dal ministro Lamorgese, ogni atto di resistenza possa rapidamente diventare un ‘focolaio di tensione’.
Un’ammissione che pesa come un macigno sull’agibilità democratica di questo paese e che vuole lanciare un avvertimento minaccioso: ognuno di voi, tanto più se collettivamente organizzato, è pericoloso, perché un paese ridotto in miseria è una gigantesca polveriera e la finzione dello “Stato di diritto” finisce qui.
Quanto disgusto, inoltre, per una stampa prona al potere che diffonde comunicati della Procura senza nessun spirito critico.
L’utilizzo spregiudicato delle veline confezionate ad arte dalla questura da parte della stampa non fa che confermare questo disegno.
Insistere sul fatto che chi percepisce il reddito di cittadinanza non abbia il diritto di protestare contro lo stato che glielo eroga è un monito che viene lanciato verso tutti i soggetti sociali che stanno pagando i costi della pandemia e per i quali le briciole stanziate dal governo non saranno sufficienti. Il messaggio è chiaro: non sputare nel piatto in cui mangi anche se mangi merda e guai ad organizzarti per cambiare le cose! In questa logica perversa solo i ricchi hanno il diritto di fare politica (Confindustria docet) e quelli che dovrebbero essere in potenza diritti universali ad una vita dignitosa diventano privilegi di colpevoli fannulloni.
Questi processi trovano radici ben profonde  anche nei vari decreti in materia di sicurezza  e immigrazione. Dalla chiusura dei porti, alla criminalizzazione di chi è solidale e di chi dimostra dissenso ribadiamo la necessaria abrogazione di tali decreti.
Esprimiamo la nostra piena solidarietà agli arrestati e alle arrestate, con la ferma convinzione che oggi più che mai è necessario continuare la lotta.

Rete cittadina Stop Decreti Sicurezza
Associazione Bianca Guidetti Serra
Associazione di Mutuo Soccorso per il diritto di espressione
Associazione Primo Moroni
Circolo Anarchico Berneri
Làbas
Laboratorio Crash
Laboratorio Smaschieramenti
Rete bolognese di iniziativa anticarceraria
Noi Restiamo, Potere al Popolo – Bologna
Rete dei Comunisti
SGB – Sindacato Generale di Base
Si Cobas
TPO
USB – Federazione del Sociale
VAG61
XM24
Coordinamento Migranti
Sconnessioni Precarie


COME RETE DI INIZIATIVA ANTICARCERARIA INVITIAMO TUTTE E TUTTI AD ADERIRE E RILANCIARE LA BICICLETTATA/PRESIDIO SOTTO AL CARCERE CHIAMATA DA COMPLICI E SOLIDALI PER VENERDì 22 MAGGIO

ORE 17.00: CONCENTRAMENTO IN PIAZZA DELL’UNITA’
ORE 18.00: PRESIDIO SOTTO AL CARCERE

 

Prima di tutto vennero a prendere… gli anarchici

Anche in tempo di emergenza sanitaria la priorità è arrestare gli anarchici.

Ieri
a Bologna sette compagnx sono stati arrestati e altrx cinque sottopostx ad obbligo di dimora con l’accusa di terrorismo ed eversione per l’incendio al ripetitore di Monte Donato del dicembre 2018. 
Le operazioni passate dimostrano che le pompose accuse di terrorismo delle Procure (art. 270 bis C.P.) vengono poi smontate in fase dibattimentale, ma questo non impedisce la reclusione cautelare dei compagni e delle compagne in alta sicurezza dentro alle carceri che combattiamo. 
L’apparato repressivo statale in questo tragico momento getta fumo negli occhi dell’opinione pubblica trovando capri espiatori da dare in pasto al solito circo mediatico, mentre le numerose promesse governative a tutti i livelli vengono puntualmente disattese.
In un momento di emergenza in cui le carceri già sovraffollate sono diventate immensi focolai di contagio, lo Stato anziché prendere provvedimenti di amnistia e liberazione continua ad arrestare chi lo contesta. L’operazione, come asserisce il comunicato stampa della Procura, <<assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato”>> con specifico riferimento alla lotta anticarceraria che sta assumendo particolare rilevanza in questo periodo. Ad essere sotto accusa ed esser preventivamente puniti non sono soltanto gli atti contestati, ma l’idea stessa che qualcunx possa esporre verità scomode (come quelle riguardanti le carceri o i cpr ) e magari decidere di alzare la testa.

Ci sentiamo tuttx colpiti da un’operazione repressiva di tale portata che mira ad  intimidire il sostegno alle lotte anticarcerarie e a stroncare sul nascere qualsiasi rivendicazione in tal senso. Quest’operazione, come ammette la stessa Procura nero su bianco, ha lo scopo specifico e strategico di ‘prevenire’ tensioni con una stretta repressiva su tutte le .lotte sociali.

Siamo complici e solidali con chi mette in gioco il proprio corpo per un mondo migliore. Terrorista è lo Stato che spegne le coscienze e soffoca il dissenso.

Tuttx liberx

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

I compagni arrestati sono 7: Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido e Duccio.
A 5 compagne/i (Martino, Otta, Angelo, Emma e Tommi) è stato dato l’obbligo di dimora a Bologna con obbligo di firma quotidiana.
L’accusa di 270bis è per chi ha la misura cautelare in carcere.
Gli altri reati contestati sono poi 414cp, 639, 635 e a una sola persona incendio (423cp).
I riferimenti per inviare loro sostegno e solidarietà:
Elena Riva e Nicole Savoia:
Str. Delle Novate, 65, 29122, Piacenza.
Duccio Cenni e Guido Paoletti:
Via Arginone, 327, 44122, Ferrara.
Giuseppe Caprioli e Leonardo Neri:
Strada Statale 31, 50/A – Loc. San Michele – 15121 Alessandria (AL)
Stefania Carolei:

Via Gravellona, 240, 27029, Vigevano, PV

Chiunque voglia rendere visibile e testimoniare la propria solidarietà può inviare una mail a soscarcere at autistici.org i contributi saranno raccolti in questa pagina.