POTEVI ESSERE TU. STOP POLICE BRUTALITY

Bologna, riceviamo e diffondiamo:

POTEVI ESSERE TU

Verso le 4 di mattina del 3 luglio un’auto della polizia speronava un ciclista facendolo precipitare sul marciapiede. Schiacciato a terra da cinque agenti veniva colpito riportando  traumi ed escoriazioni. Mentre provava a rialzarsi un agente lo colpiva nuovamente con una gomitata, rompendogli gli occhiali e provocandogli ulteriori traumi.
Viene accusato di resistenza e lesioni per giustificare il pestaggio, mentre alla persona ricercata quella notte – individuata qualche giorno dopo – non sappiamo quale trattamento sia stato riservato.
L’America non è mai stata così vicina. Anche qui le forze dell’ordine hanno sempre più carta bianca nel torturare, picchiare e ammazzare.
Non serve guardare tanto lontano, l’abuso è dietro l’angolo. Il prossimo potresti essere tu.

La Bolognina è al centro di un processo di gentrificazione che sta vedendo guardie e polizia sempre più impegnate nella ‘pulizia’ del quartiere.
Potrebbe succedere anche a te. Potrebbe succedere a tutte/i.

LA SOLIDARIETÀ È UN’ARMA, USIAMOLA!

Se hai subito abusi o ne sei a conoscenza scrivici a stoppolicebrutality @ autistici.org

Stampa/diffondi!!


Da Osservatorio Repressione, 3 luglio 2020
http://www.osservatoriorepressione.info/pestaggio-abusi-polizia-bologna/

PESTAGGIO E ABUSI DI POLIZIA A BOLOGNA

Verso le 4 di mattina (3 luglio) giravo in bicicletta quando notavo pattuglie in zona Corticella presso il parco di via Passarotti, agenti che successivamente si sarebbero rivelati in cerca di un soggetto dedito a danneggiamento di auto.

Mentre mi allontanavo, sempre in bicicletta, le pattuglie senza mai intimare l’alt mi seguivano su Via Corticella fino a speronarmi facendomi precipitare in corsa sul marciapiede.

Schiacciato a terra da cinque agenti di cui uno armato di manganello, con traumi ed escoriazioni, provavo a rialzarmi chiedendo quale fosse il problema. Un agente, probabilmente il capo turno, mi ha colpito con un gomitata, rompendomi gli occhiali e provocandomi escoriazioni; in tutto ciò non ho mai opposto resistenza ed ero impossibilitato a muovermi.

Sono stato perquisito la prima volta in strada con esito negativo e non avendo i documenti con me, sono stato tradotto in questura con evidenti ferite.

Arrivati negli uffici della sezione volanti, sono stato foto segnalato, mi hanno rilevato le impronte e ho subito una seconda perquisizione con esito negativo.

Dopo una lunga attesa, gli agenti mi consegnano una prima versione del verbale  di conoscenza del procedimento, in cui mi accusano di resistenza a p.u. e poco dopo vengo accompagnato in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore, dove i medici mi hanno dato 6 giorni di prognosi per vari traumi ed escoriazioni.

Mentre ero seduto sulla sedia a rotelle, si è materializzato l’agente che mi aveva sferrato la precedente gomitata in strada e deridendomi mi ha strappato il primo verbale dalle mani e mi ha consegnato il secondo.

In quest’ultima versione vengo accusato anche di lesioni a p.u. nonostante sia del tutto evidente che io non ho reagito al pestaggio gratuito, messo in atto dagli agenti.

Concludo affermando che assurda la tracotanza che agenti di Polizia hanno avuto non solo in strada, ma addirittura in ospedale davanti a decine di persone.

lettera firmata

Udine – Una lettera firmata da ventidue prigionieri del carcere di via Spalato

Riceviamo e diffondiamo dall’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione (Udine-Trieste, 9 luglio 2020) una nuova lettera giunta alla casella postale “Ass. Senza Sbarre” (cp 129 – 34121 Trieste)  firmata da 22 detenuti che ne chiedono la massima diffusione.

Una libera iniziativa collettiva e autonoma di alcuni prigionieri cui è importante dare voce.


Udine, giugno 2020

Alla attenzione dell’Associazione “Senza sbarre”

Noi detenuti del carcere di via Spalato […] dichiariamo che è da mesi che ci lamentiamo per la piccola quantità di cibo che viene distribuita, e anche, altra cosa grave, che alcuni di noi hanno portato in visione all’ispettore di turno cibo crudo, cibo scaduto e maleodorante.
Non solo: alcuni detenuti hanno trovato nel loro piatto di spinaci e gnocchi anche scarafaggi morti. Tutto questo lo lamentiamo da mesi, e anche veniva portato in visione il mangiare scaduto e avariato ad un ispettore di turno, e lui lo segnalava anche, ma continua tutt’ora lo stesso; addirittura persone che hanno avuto problemi alla pancia, chi vomito ed alcuni, più fortunati, si astengono al ritiro del vitto. Ma chi non può purtroppo farlo, deve avere la fortuna di farcela, quanto meno avere culo, che alcune volte [il vitto] arriva in condizioni discrete, ma sempre cibo scaduto e con forti odori, tipo pesce, uova, e sughi con pasta cruda, e sughi non cotti bene.
Purtroppo tanti di noi abbiamo reclamato ed alcuni non ritirano più il vitto, poi troviamo fuori dalle porte della cucina molti scarafaggi, che vengono poi anche trovati negli spinaci e nelle zuppe di verdura.
Poi i continui nidi di scarafaggi, formiche, piccoli topi e addirittura scorpioni, che fuoriescono dai lavabi, bagno, wc, doccia. Siamo invasi da ogni forma di insetti che portano malattia, non c’è igiene nelle celle, sono muri sporchi, bagni con muffa e privi di aerazione, non c’è sanificazione di nessun genere, gente malata che ha problemi igienici sanitari. […]

Seguono 22 firme

[…]
Noi siamo quelli che aderiamo con voi […]
Gli amici di via Spalato […]
Grazie

Lettera detenuti carcere via Spalato – UDINE pdf

Resoconto del presidio del 26 giugno alla Dozza di Bologna

Diffondiamo:

Tornare sotto il carcere della Dozza e riuscire a comunicare a lungo con i prigionieri è stato emozionante e ci ha provocato ancor più rabbia. Qualcuno/a di noi è finito/a dall’altra parte del muro il mese scorso, anche se non alla Dozza; è stata una permanenza – seppur breve – che ci ha convinte e convinti ancora di più di quanto delle galere non debbano restare che macerie.

Venerdì 26 giugno eravamo tante/i là sotto; siamo arrivati sotto le sezioni dei comuni e dell’AS3 e finalmente, dopo mesi, siamo riusciti a comunicare bene con chi è rinchiuso. Sin dal nostro arrivo si sono alzati dalle celle cori per la libertà e contro le galere.
Tutta la nostra vicinanza e complicità è stata portata alle compagne e ai compagni arrestati con l’Op. Bialystok, dove ancora una volta la solidarietà è stata attaccata, la solidarietà espressa in più modi e forme verso i/le compagni/e arrestate per l’Op. Panico e a fianco di Paska che aveva alzato la testa contro il pestaggio riservatogli dalle guardie durante il trasferimento per un’udienza a Firenze e contro la sua permanenza nel carcere di La Spezia.

Abbiamo riportato ai prigionieri quello che sta succedendo anche in altre carceri, un quadro che fa emergere senza mezzi termini che le strette imposte nel periodo dell’emergenza coronavirus hanno tutta l’aria di voler essere prolungate il più possibile da parte del DAP e delle direzioni dei penitenziari: dalle limitazioni ai colloqui, 1 o 2 al mese col plexiglass, alla stretta sui regimi a celle aperte, sino alle ripetute intimidazioni verso chi alza la testa.

Si è ribadita la responsabilità di Bonafede e dei suoi leccapiedi del DAP per le morti avvenute durante le rivolte di marzo, l’uso strumentale di quegli episodi su cui ora si fa leva per imporre ulteriori restrizioni. Lo Stato, come si è visto in questi mesi, cerca di volta in volta di attribuire la responsabilità delle stesse alla regia mafiosa o anarchica, per lavarsi la coscienza di ciò che è solo il frutto dell’orrore quotidiano del sistema carcerario. In questo senso le limitazioni estreme che regolano il regime del 41bis riflettono proprio il modello carcerario punitivo e di annullamento dell’individuo a cui, con crescente evidenza, si richiamano i vertici del DAP e il ministro Bonafede per l’intero panorama carcerario.

Dalle celle sono partiti ripetutamente cori e urla, fino ad arrivare a un fitto scambio di informazioni sulla situazione interna alla Dozza: dalle sezioni dei comuni più voci hanno raccontato che perdurano le limitazioni sui colloqui (uno al mese col plexiglass) e sulle ore d’aria (solo due al giorno) in tutto il carcere; diversi sono ancora i casi di prigionieri ammalati di COVID, o quantomeno di sospetti tali, tenuti nelle sezioni con gli altri e si parla di persone a cui le “cure” sono “garantite” con la sola somministrazione della solita tachipirina; per quanto riguarda il cibo, con il carrello del vitto è un susseguirsi di pasta, pane e riso, confermando la scarsa attenzione dell’amministrazione per una dieta minimamente salubre mentre l’uso delle docce è limitato a 5 minuti, altrimenti si riceve rapporto da parte delle guardie; regolari sono le perquisizioni delle celle intorno alle 4 di notte; i prigionieri hanno lamentato l’assenza di educatori (alcuni invece li hanno insultati senza mezze misure) e di qualsiasi tipo di attività lavorativa o meno; molti di loro hanno residui di pena bassi e magari anche un domicilio, ma non vengono fatti uscire; il detenuto che a fine maggio aveva dato fuoco all’infermeria (ad oggi ancora fuori uso) è stato picchiato e sbattuto in isolamento.

Più volte le guardie in borghese presenti sulle mura di cinta, con chiaro intento intimidatorio, hanno rivolto le loro telecamere verso i detenuti che comunicavano con i solidali.

Raccogliere notizie su quanto avviene dentro e renderle pubbliche ci sembra il minimo, tanto più in un periodo come questo, in cui nelle galere il lockdown sembra tutt’altro che superato e che la tendenza sia quella di normalizzare questa situazione.
Non si stupiscano lorsignori se fra un po’ di tempo, magari molto poco, la misura sarà nuovamente colma.


Detenuto tenta di salire sul tetto – Carcere di Udine, via Spalato

GIUGNO 2020 – Udine, detenuto tenta di salire sul tetto del carcere. Come al solito si evita di entrare nel merito della rivendicazione.
https://www.ilfriuli.it/articolo/cronaca/udine-detenuto-tenta-di-salire-sul-tetto-del-carcere/2/222398

Qualche notizia relativa al carcere di Udine in via Spalato:

NOVEMBRE 2019 – Una lettera scritta da 92 detenuti nel carcere di via spalato a Udine diffusa dall’ Assemblea permanente contro il carcere e la repressione.
https://affinitalibertarie.noblogs.org/2019/12/17/lettera-dei-detenuti-dal-carcere-di-via-spalato-a-udine/

GENNAIO 2020 – Protesta al Distretto di Udine dell’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione in solidarietà con i prigionieri del carcere di via Spalato sulle gravi carenze sanitarie.
https://www.nordest24.it/gravi-carenze-sanitarie-in-carcere-la-protesta-al-distretto-di-udine/
http://www.udinetoday.it/cronaca/manifestazione-distretto-sanitario-udine-28-gennaio-2020.html

FEBBRAIO 2020 – Stupro ai danni di un giovane detenuto con “problemi psichici” alla sua prima esperienza detentiva avvenuto alla fine del 2019. La violenza si è verificata all’interno di una “camera di pernottamento” ad opera di quattro detenuti che avrebbero approfittato di lui mentre era sotto l’effetto di psicofarmaci.
Secondo la ricostruzione, dopo un breve periodo di degenza nel Reparto Infermeria dell’Istituto ove gli sarebbero stati applicati alcuni punti di sutura al retto, pare che il giovane sia stato riportato nella stessa camera ove precedentemente è stato oggetto di violenza sessuale. Dopo aver subito lo stupro si è chiuso nel silenzio e ha manifestato l’intenzione di suicidarsi.
 Il procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo non ha nascosto la sua irritazione per la diffusione della notizia. “Sarebbe stato preferibile lasciar lavorare in tranqullità gli inquirenti ma faremo il nostro dovere”.

MARZO 2020 – Le proteste di marzo
http://www.udinetoday.it/cronaca/protesta-carcere-udine-coronavirus.html

MARZO 2020 – Il giovane Ziad Dzhihad Krizh, ventidue anni, ‘trovato morto’ nella sua cella nel carcere di via Spalato lo scorso 15 marzo.
http://www.udinetoday.it/cronaca/giovane-morto-carcere-udine-15-marzo-2020.html

«… quel ragazzo aveva 22 anni ed è morto, era da tempo che stava male, che non veniva preso in considerazione. Si era ripetutamente lesionato, tagliato con lamette. In questi ultimi giorni lamentava febbre e che stava male, ma l’unica cosa che hanno fatto è stato di aumentargli la terapia di metadone a dosi spropositate, subutex a quantità spropositate e psicofarmaci. Infatti il tutto ha causato la morte, per lo più. Il defibrillatore era già rotto da mesi e mesi. La cella l’hanno aperta dopo 20 minuti quindi alle 7.20 della mattina e l’unico soccorso che ha avuto è stato solo un assistente che ha provato a rianimarlo ma con le mani perché l’apparecchio è rotto.

Poi hanno aspettato ore prima che arrivasse un dottore e il magistrato con tutta calma. Il corpo è restato ad aspettare qua dentro fino poco più tardi delle 13.00. Vergognoso poi che il ragazzo avesse problemi di tossicodipendenza e lo tenessero al terzo piano, e neanche lo ascoltavano e controllavano.

Voglio che queste cose siano riferite così da mettere tutti a conoscenza delle cose vergognose e orribili che succedono nel carcere di Udine. Lo hanno ammazzato. La responsabile dell’area sanitaria non c’era, manca da 15 giorni. È tutto vero
http://www.osservatoriorepressione.info/familari-dei-detenuti-denuciano-violenze-abusi-nelle-carceri-foggia-opera-un-detenuto-morto-udine/

In questi giorni in cui abbiamo avuto modo di parlere di transfemminismo e lotte anticarcerarie ricordiamo anche Danila, transessuale straniera di 33 anni morta suicida 4 ore dopo essere entrata nel carcere di Udine di via Spalato nell’agosto 2018.
https://www.ildubbio.news/2018/08/02/udine-trans-si-impicca-nel-bagno-del-carcere/

MAGGIO 2020 – Una lettera dal carcere di Udine che abbiamo ricevuto e pubblicato.
L’assemblea permanente contro il carcere e la repressione nella nota iniziale informa anche di aver ricevuto procedimenti penali per la solidarietà portata a prigionieri e prigioniere.
https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/2020/05/27/una-lettera-dal-carcere-di-udine/

GIUGNO 2020 – Le intimidazioni non hanno arrestato la solidarietà a Udine.
http://www.osservatoriorepressione.info/event/udine-presidio-anticarcerario-3/

Mentre a Tolmezzo, sempre a Udine:

APRILE 2020 – Trasferimenti e deportazioni punitive dal carcere di Bologna hanno causato la diffusione del contagio
http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=89181:tolmezzo-ud-positivi-al-virus-in-carcere-la-protesta-di-brollo-e-mazzolini&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1

Assoluzione per Higui, solidarietà transfemminista senza frontiere!

Riceviamo e condividiamo: Sosteniamola!

***
Il 16 ottobre 2016, Higui, compagna lesbica argentina, fu attaccata da dieci maschi che odiano le lesbiche. Lei riuscì a impedire il suo stupro correttivo uccidendone uno. Questo provocò che gli altri nove uomini di merda presenti la massacrassero fino a farla svenire. Si risvegliò in carcere senza ricevere cure e con addosso una denuncia per omicidio.

Grazie alla moblilitazione femminista popolare in solidarietà, è stata scarcerata dopo otto mesi di carcere preventivo. Non staremo a dire quanto questa società patriarcale si fonda sulla cultura dello stupro e quanto il suo sistema protegga i suoi scagnozzi. Vorremmo soffermarci solo a dire che l’azione di Higui ci ha liberato da un uomo di merda, grazie a lei il patriarcato si trova con un maschio stupratore in meno. Come nel caso di Deborah Sciacquatori, ragazza che è stata assolta per legittima difesa a maggio 2020 per aver ucciso il padre violento durante l’ennesima lite contro la madre. Così come Deborah ha difeso la madre e se stessa, così si è difesa Higui per impedire lo stupro che poteva portare al suo lesbicidio.

Il 7 giugno è stato il compleanno di Higui e la Campagna per la sua assoluzione ha iniziato una colletta per aiutarla perchè si trova in una difficile situazione economica provocata dallo Stato argentino e la sua ‘gestione’ della pandemia.

Se volete dare un contributo scrivete a:
Karina Andrea Correa Fernàndez
mail: karinaa.correa1@gmail.com
amazora@bruttocarattere.org

Vorremo anche ricordare che ad agosto di quest’anno si terrà il suo processo a San Martin, Argentina.

Per fare arrivare la solidarietà, potete scrivere ai seguenti contatti:
facebook: Campana por la Absolucion de Higui
twitter: Absolucion. Higui #yotambienmedefenderiacomohigui
mail: absolucion.higui@gmail.com

SOLO CON L’AUTODIFESA E LA SOLIDARIETÀ FEMMINISTA POSSIAMO DISTRUGGERE IL PATRIARCATO

ASSOLUZIONE PER HIGUI!

***

Sosteniamo l’autodeterminazione di corpi, soggettività e comunità

Venerdì 26 giugno alle 19:30 saremo sotto al carcere della Dozza per portare solidarietà ai prigionieri. Li abbiamo sostenuti fuori ed è importante continuare a farlo.
https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/events/presidio-sotto-il-carcere-della-dozza/

Sabato 27 giugno in Piazza del Nettuno aderiremo il B-side Pride contro la violenza strutturale dell’eteropatriarcato.
https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/2020/06/26/transfemminismo-e-lotta-anticarceraria/

Nella stessa giornata e nella stessa piazza sosterremo la mobilitazione contro l’annunciata annessione dei territori palestinesi da parte di Israele e contro la repressione del regime turco.
https://www.facebook.com/events/267369601350491/
https://www.facebook.com/events/264303994989730/

Sabato 4 luglio dalle 19 al Parco Gustavo Trombetti promuoveremo un’iniziativa solidale anticarceraria per la libertà di tutti i prigionieri politici Mapuche.
https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/2020/06/26/fuori-benetton-dai-territori-mapuche/

Nessuno e nessuna deve essere dimenticatx 
né abbandonatx nella lotta!

SOLIDALI CON CHI LOTTA DENTRO E FUORI LE PRIGIONI

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

FUORI BENETTON DAI TERRITORI MAPUCHE!!

In sinergia con la Rete internazionale in difesa del popolo Mapuche stiamo organizzando per sabato 4 luglio un’iniziativa solidale e anticarceraria contro la repressione in adesione alla chiamata internazionalista per la libertà di tutti i prigionieri politici Mapuche.

Aspettiamo tuttx i/le solidali al parco Giardino Gustavo Trombetti a Bologna (in via Pietro Lianori, dietro il DLF).

Audio

Per info
https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/events/fuori-benetton-dai-territori-mapuche/


Da anni la Rete internazionale in difesa del popolo Mapuche in Italia sostiene fortemente il recupero territoriale della Pu Lof Cushamen contro il processo di accaparramento di terre da parte di BENETTON, che per le comunità Mapuche ha significato irruzioni, sgomberi, persecuzioni giudiziarie, repressione, carcere e uccisioni da parte della polizia argentina.


https://mapucheit.wordpress.com/2020/02/06/la-testimonianza-di-2-compagne-mapuche-che-raccontano-il-recupero-territoriale-contro-loccupazione-capitalista-di-benetton/

Nonostante l’usurpazione continua dei territori da parte delle multinazionali e la violenza statale e poliziesca, il recupero territoriale e la lotta per l’autodeterminazione non si sono mai fermati.

Il 27 giugno sono 3 anni che il LONKO FACUNDO HUALA, autorità ancestrale del popolo Mapuche e autorità politica/filosofica della comunità Mapuche di Cushamen nel Puelmapu, è detenuto per la lotta che lo vede coinvolto contro la multinazionale italiana BENETTON che ha occupato e ha usurpato le terre ancestrali della sua comunità.

Tre anni di prigionia. persecuzione politica, criminalizzazione e privazione della libertà per aver difeso il territorio Mapuche dall’intromissione delle multinazionali che si appropriano della terre ancestrali per la realizzazione di diversi  progetti estrattivisti, progetti in totale contraddizione con la cosmovisione e il buen vivir dei popoli originari, come quello Mapuche.

Dapprima nel penitenziario di Esquel, Argentina, e da settembre 2018 – attraverso una estradizione in Cile arbitraria e incostituzionale eseguita dal governo di Mauricio Macri – Facundo Huala è stato trasferito presso il carcere di massima sicurezza di Valdivia, e in seguito nel carcere di Temuco, dove si trova attualmente, lontano dalla sua comunità. La distanza geografica e gli oneri economici che comporta costringe il Lonko Facundo Huala e la sua comunità all’isolamento non essendo accessibili la consegna di cibo, la comunicazione e le visite.

Come Rete di iniziativa anticarceraria abbiamo aderito alla chiamata in solidarietà e intendiamo fare da cassa di risonanza affinché il rimpatrio – termine giuridico che usiamo per intenderci e fare pressione ma che la comunità Mapuche non riconosce – sia considerato con urgenza!

Sosteniamo e diamo voce inoltre agli otto prigionieri politici Mapuche in sciopero della fame nel carcere di Angol da quasi due mesi e per Machi Celestino Cordova nel carcere di Temuco. Solidali con chi non ha che il proprio corpo come ultima barricata contro la persecuzione politica e il confinamento nelle galere, la tortura, la repressione.

Ricordiamo l’assassinio di Santiago Maldonado, di Rafael Nahuel e Macarena Valdez Munoz, morti per mano dei servi dallo Stato complici con il sicariato delle multinazionali, per essersi alzati con ribellione e coraggio a fianco della lotta del popolo Mapuche in difesa della terra.

Solidarietà anticarceraria anche con i /le prigionierx della rivolta cilena. Sono oltre 2000 i detenuti/le detenute sequestrati/e del governo fascista di Piñera. I processi si avvicinano. Alcunx sono già stati condannati con un processo abbreviato, due dei quali a 3 e 4 anni di reclusione. Ad altre viene chiesto di scontare più di vent’anni di carcere, rendendo evidente la punizione esemplare che si intende dare alla protesta sociale.

Come Rete di iniziativa anticarceraria sosteniamo e promuoviamo questa giornata solidale

Nessuno e nessuna deve essere dimenticatx né abbandonatx nella lotta!

FUORI BENETTON DEL TERRITORIO MAPUCHE!
LIBERTÀ PER FACUNDO HUALA E TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI!
SOLIDALI CON CHI LOTTA DENTRO E FUORI LE PRIGIONI




Più info qui:

https://mapucheit.wordpress.com/materiale-informativo/

TRANSFEMMINISMO E LOTTA ANTICARCERARIA

La riflessione che ci muove e attraversa come rete anticarceraria verso il B-Side Pride sabato 27 giugno 2020 in piazza Nettuno dalle 13.30 a Bologna.

Più info qui:
https://bsidepride.noblogs.org/
https://marciona.noblogs.org/post/2020/06/22/verso-un-pride-transfemminista-queer/


TRANSFEMMINISMO E LOTTA ANTICARCERARIA

In una civiltà ultra-capitalista dove la giustizia è nelle mani di chi detiene i maggiori privilegi economici, la questione del carcere, ingranaggio centrale del modello eteropatriarcale societario imposto e mantenuto, non può che essere una questione che riguarda tutte e tutti noi.

Nelle carceri ci sono prevalentemente uomini ma questo dato non deve sorprendere, lo Stato patriarcale ha per le donne e le soggettività non cisgender tutta una specifica rete di oppressioni, gabbie e meccanismi di disciplinamento che permeano l’intero arco e contesti di vita dall’infanzia all’età adulta. Ci sono già il marito, la famiglia, il misconoscimento costante, le oppressioni, le violenze, la psichiatria…

Nonostante ciò le prime a scontrarsi con la repressione carceraria sono proprio le donne anche quando il carcere non lo vivono direttamente sulla propria pelle. Donne, madri, mogli, sorelle, cui rimane tutto il peso della famiglia, dei figli, oltre che il compito di sostenere fratelli, compagnx, mariti e padri detenuti, con lo sfinimento che implicano le visite, il pregiudizio della società, della famiglia, dei vicini, le lunghe attese, i controlli e le ispezioni corporali, gli interminabili viaggi di andata e ritorno, le spese sistematiche ed elevate, la perdita della propria vita privata, dei propri sogni e progetti, del proprio lavoro.

E’ ormai evidente come il  carcere non  solo sia risultato  fallimentare  nel proteggere  le  persone  e  le  comunità  dalle  violenze e dalle oppressioni, ma  come sia in verità un ingranaggio centrale nel riprodurle sulle classi subalterne, non solo su uomini migranti e poveri, ma anche e soprattutto sulle donne (cisgender e trans), gli uomini trans, le persone di genere non binario e/o intersessuali.

Chi subisce una violenza e si rivolge al sistema legale non trova protezione alcuna. A volte la polizia allontana l’aggressore per alcuni giorni ma ciò non ferma la violenza. A volte i tribunali emettono un’ordinanza restrittiva, un pezzo di carta che l’aggressore palesemente  ignora.  A  volte  la  polizia  non fa nulla. A volte l’aggressore fa parte della polizia stessa.

Il carcere ha fallito nel proteggere dalla violenza poichè perpetua il ciclo della violenza piuttosto che interromperlo.

Rinchiudere un partner violento può fermare la violenza soltanto temporaneamente, ma non affronta il problema alla radice e crea altre forme di violenza e di abuso.

Lo stesso sistema legale che non è riuscito a proteggere le persone come ‘vittime’, le ha poi punite per essere sopravvissute alle aggressioni: numerose  vittime  di  violenza  domestica sono incarcerate  per  essersi  difese.

Nessuno  sa  quante  sono le soggettività che hanno subito violenza dietro le sbarre  perché  le  forze  dell’ordine, delegate dalla collettività alla ‘sicurezza’, non  sono  riuscite  a  garantire la loro protezione.

Le  sopravvissute  alla  violenza tra le mura domestiche piuttosto che sui luoghi di lavoro o per strada  sono  spesso  ritraumatizzate  dalla  vita  in carcere,  in  modo  particolare  quando  vengono sottoposte alle aggressioni, alle mancanza di cure mediche, all’isolamento o  alla  separazione  dalle proprie  famiglie. La violenza subita all’interno delle mura domestiche si riproduce con la violenza dell’esperienza in prigione.

In carcere le donne (cisgender e trans), gli uomini trans, le persone di genere non binario e intersessuali reclusx soffrono continui abusi sessuali e maltrattamenti sia per mano di altri detenuti, che da parte delle forze dell’ordine o per colpa delle umilianti pratiche quotidiane come la perquisizione corporale, vissuta da molte come forma di stupro.

Le persone transessuali sono tra le comunità più criminalizzate e vulnerabili in carcere: «Le persone transgender non entrano nella classificazione binaria uomo/donna che il carcere stesso produce e consolida socialmente» sottolinea Angela Davis.

Persone queer, trans e gender-variant, proprio   perché   visibili   nella   loro  differenza   di   genere, hanno difficoltà nel trovare lavoro, subiscono allontanamenti da parte delle famiglie, persecuzioni, aggressioni, nelle scuole, per strada, che portano ad esclusione ed emarginazione, aumentando la loro vulnerabilità e il  rischio di incriminazione.

Una volta che le leggi repressive entrano in vigore, il pregiudizio influenza ogni passaggio del sistema giudiziario, aumentando la probabilità che una persona di genere non binario sia fermata dalla polizia, perquisita, arrestata, accusata, condannata, e che sconti un periodo di carcere.

La detenzione risulta inevitabilmente discriminatoria per queste soggettività.

Persone trans  e  queer oltre a vedersi negato un  adeguato  percorso  medico  sia  per  quanto  riguarda l’operazione chirurgica che per le cure ormonali sono  ad  alto  rischio  di  aggressioni  sessuali  e  abusi  in  carcere, in commissariato e nei centri di permanenza temporanea, non-luoghi dove spesso vengono richieste prestazioni sessuali in cambio di “protezione”.

In alcune carceri vi sono sezioni dedicate all’interno degli istituti maschili mentre in altre sono adiacenti alle sezioni femminili. In altre carceri invece le persone transessuali e transgender vengono inserite nei reparti precauzionali insieme ai sex offenders, ai collaboratori di giustizia e agli ex appartenenti alle Forze dell’ordine.

Anche le sex-worker subiscono la repressione del sistema giudiziario e sono soggette alle stesse vulnerabilità.

Con la ‘lotta al degrado’ e all’immigrazione irregolare le città hanno imparato subito ad applicare il Daspo urbano con l’obiettivo di riportare il ‘decoro’ nelle strade e allontanare persone sgradite alla collettività: diverse sex worker sarebbero state allontanate con questo sistema.

Le istituzioni hanno il potere di emanare facilmente il daspo urbano anche a chi viene sorpreso in strada con loro. La criminalizzazione dei clienti rientra appieno nel sistema di vittimizzazione e alienazione delle lavoratrici del sesso, considerate tutte persone da salvare, cui viene negata l’autodeterminazione della propria esistenza e che, oltre a subire lo stigma che colpisce chi lavora nel settore del sesso,  ora rischiano ulteriore  emarginazione a causa delle politiche securitarie sempre piu dure.

L’isolamento dei luoghi dove sono spinte le lavoratrici le rende inoltre più facilmente soggette a controllo e violenze da parte di polizia e clienti.

Come rete anticarceraria siamo qui a ribadire come il sistema penitenziario e il carcere siano l’asse portante del controllo patriarcale attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a funzioni di profitto. Una macchina repressiva sempre più specializzata in ogni luogo che zittisce e neutralizza le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando quelle soggettività che queste contraddizioni esprimono e subiscono sottoforma di molteplici oppressioni.

Pensare che il carcere sia necessario non è nient’altro che quel che ci hanno fatto credere. Dobbiamo ricercare una nuova logica, diversa da quella imposta dal sistema eteropatriarcale.

Il giustizialismo prescinde dalle cause e considera i crimini esclusiva responsabilità delle persone che li commettono, per cui le uniche contromisure che si adottano in merito sono basate sul castigo.

Il punire individualmente e nella maniera più dura, si scontra frontalmente con l’obiettivo di lavorare a intersezioni che agiscano nei conflitti sociali in maniera proficua e vitale.

Se parliamo della violenza maschilista come una serie di problemi individuali scollegati fra loro otterremo soltanto l’invisibilizzazione della loro reale causa: la struttura etero patriarcale.

Combattere  per  un  mondo oltre il carcere, dove  siamo  tutti  e  tutte  libere dalla  violenza, dalla povertà, dal razzismo, dagli abusi e da ogni forma di oppressione, non può prescindere dalla riflessione transfemminista.

Per riprendere la Davis, fervente abolizionista del sistema carceraio, più che porre l’accento su chi perpetra la violenza, bisognerebbe interrogarsi sulla violenza come istituzione,  sull’istituzionalizzazione  dei  meccanismi  di violenza  e  sulle discriminazioni di genere che le istituzioni incarnano tramite l’intervento paternalista e patriarcale.

La violenza di genere non e’ un problema di ordine pubblico, per questo riteniamo importante promuovere e sostenere tutte le attività che mirino a stravolgere in modo radicale e nel profondo la cultura patriarcale e machista che ancora oggi tiene in piedi questo sistema basato sullo sfruttamento che si riproduce nelle relazioni individuali e collettive.

E’ necessaria una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione razziale, di classe e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste le carceri. Ed è proprio il rifuto di ogni binarismo che oggi ci invita alla ricerca di formule nuove per esprimere i rapporti di forza e oppressione e destituire poteri e privilegi.

Come rete anticarceraria crediamo sia importante individuare convergenze e intersezioni che possano farci riflettere insieme e sviluppare pratiche per prevenire e affrontare il problema della violenza, contro le carceri e contro il dominio patriarcale, di qualsiasi genere.

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

LA NECESSITA’ DELL’AMNISTIA SOCIALE

Aderiamo all’appello della rete cittadina Stop Decreti Sicurezza

Sono quasi cinquantaquattromila le persone private della libertà che affollano le carceri italiane.

Cinquantaquattromila persone costrette a spartire celle già anguste con migliaia di persone in più rispetto alla loro capienza regolamentare, determinando un sovraffollamento che impone una forzata prossimità e che annulla di fatto il rispetto di quella dignità umana che di diritto dovrebbe competere a chiunque.

In questi giorni in cui un’emergenza sanitaria ci impone il confronto con la vulnerabilità dei nostri corpi, dopo aver vissuto le nostre abitazioni come luoghi di reclusione forzosi, non possiamo non rimettere al centro di un ragionamento politico all’altezza della fase chi vive una vulnerabilità e una reclusione più assoluta e disperante: quella di decine di migliaia di persone il cui diritto alla incolumità e alla salute è stato negato, salvo qualche debole misura scarcerativa applicabile solo ad un numero esiguo di reclusi, dal decreto “Cura Italia”.

Ma se ieri si è voluta ignorare l’urgenza delle problematiche carcerarie, l’emergenza di oggi rende indifferibile la necessità di una soluzione.

Se guardiamo dentro questi luoghi reietti con occhi liberi dall’istigazione giustizialista di chi ha avuto interesse a trasformare le problematiche sociali in questioni di ordine pubblico, quello che vediamo è una popolazione socialmente ben definita: a riempire le celle sono i poveri, i marginali, i tossicodipendenti, gli stranieri, i senza fissa dimora, gli attivisti politici che contestano un modello politico ed economico che produce e alimenta iniquità sociale e che autorizza il saccheggio finanziario di beni pubblici e territori. La composizione sociale della popolazione detenuta ci rende immediatamente manifesta quale sia la funzione oggi affidata al carcere: disciplinare la povertà, contenere la marginalità e ammutolire il dissenso.

Al depauperamento progressivo delle risorse destinate al welfare state, alla crisi finanziaria dell’ultimo ventennio, al conseguente aumento dei cittadini privi di un reddito sicuro, o almeno dignitoso, e delle lotte sociali a questi processi collegate, il carcere è diventata la risposta privilegiata, la principale agenzia deputata al contenimento del disagio sociale e delle difficoltà economiche: laddove non arriva la tutela pubblica interviene la cella.

Sempre più, anche (ma ovviamente non solo) con l’utilizzo di strumenti quali l’Alta Sorveglianza o il regime di 41 bis, il carcere è pensato come un contenitore separato dalla società ed opaco, nel quale gettare tutto ciò che è scomodo, non gradito o non confacente al modello della società del “decoro”, la nuova parola d’ordine che ha informato i decreti sicurezza degli ultimi vent’anni.

La funzione della prigione come reclusorio sociale spiega la relazione apparentemente paradossale tra la costante diminuzione dei reati negli ultimi vent’anni e il costante aumento della popolazione reclusa. Nello scegliere selettivamente la propria utenza, il carcere svela dunque la verità della propria funzione: non un luogo destinato alla rieducazione e alla risocializzazione del condannato, come vorrebbe un alibi formale che non regge più e la cui legittimità è sempre stata e resta discutibile, ma un non luogo sordido, spesso fatiscente, nella cui miseria materiale stipare il disagio e reprimere il dissenso.

Nelle ultimi mesi questi non luoghi derelitti sono stati lo scenario di episodi balzati alle cronache dei media ma non all’attenzione del governo. Il diffondersi del panico tra i reclusi a seguito delle allarmanti notizie relativi alla pandemia da Covid19 e le ulteriori restrizioni imposte ai detenuti, hanno portato ad una serie di rivolte che hanno investito le prigioni di tutto il Paese.

I morti, i feriti, i trasferiti (di molti dei quali neppure le famiglie, dopo diversi giorni, hanno potuto avere notizie) causati da queste sommosse e le relative ritorsioni contro i detenuti individuati come rivoltosi, ci urlano che non si può più attendere, e che è ormai indifferibile una decisione che serva realmente a svuotare la carceri – senza dimenticare le strutture detentive per stranieri (CPR) – e sia l’inizio di una seria e rinnovata discussione sulla finalità della pena e sul senso che il carcere può avere nella attuale società.

E’ allora giunto il momento non solo di parlare di un provvedimento di amnistia ma di adottarlo, e di farlo subito. Un provvedimento che vada al di là del ridottissimo effetto dei recenti interventi emergenziali, e che consenta di guardare con lucidità, oggi, in tempo di pandemia sanitaria, alla pandemia penalistica che ha fagocitato la giustizia italiana negli ultimi decenni, spostando nelle carceri gli effetti della crisi economica e della incapacità della politica di farsi anche mediazione. Effetti, non da ultimo, che l’emergenza sanitaria di oggi, con le gravissime ripercussioni che avrà nel breve e nel lungo periodo sull’economia generale del nostro Paese, ricadranno su una fascia sempre più ampia di soggetti sociali, destinati ad ingrossare le fila già affollate degli indigenti.

Per questo riteniamo che un urgente provvedimento di amnistia riguardi tutti: nell’immediato oggi chi rischia di morire in cella e nel prossimo domani chi rischia di ritrovarsi il carcere come unica risposta ai problemi sociali che questa ennesima crisi è destinata ad inasprire.

E’ necessario mettere in campo un’iniziativa politica, culturale e sociale per contrastare quel clima di “panico morale” seminato per giustificare le logiche giustizialiste e manettare che hanno prodotto l’attuale ipertrofia penitenziaria e la penalizzazione del conflitto sociale; per contrastare il “populismo penale” che si ripromette, senza andare troppo per il sottile, di risolvere i problemi sociali del neoliberismo a colpi di codice penale, lasciando però irrisolte le contraddizioni che produce.
Quello stesso populismo che confida ciecamente nello stato e nei suoi apparati e che nega ogni forma di garantismo, considerato un inutile orpello politically correct quando si tratta di applicarlo ai soggetti più deboli ma la cui legittimità viene poi invocata quando serve ad assicurare impunità ai soggetti più forti.

Così, infatti, i decreti sicurezza Minniti/Salvini (poi diventati legge) hanno prodotto dettami pervasi da una logica emergenziale, cuciti su misura delle diverse dinamiche sociali. Ci sono normative specifiche per i migranti; ci sono quelle per gli scioperanti; ci sono quelle per chi occupa le case o gli spazi sociali; ci sono quelle per chi va allo stadio; ci sono quelle per chi manifesta nelle strade e nelle piazze; ci sono quelle per chi critica con parole e scritti le azioni dei governi e delle classi dirigenti.

Se non vogliamo lasciare le sfide che ci aspettano nell’immediato futuro alla politica della repressione e della punizione occorre l’intervento di una cultura capace di raccoglierle e di rilanciarle in un nuovo paradigma sociale di cui la richiesta di amnistia può farsi punto di partenza.

Rete cittadina Stop Decreti Sicurezza
Associazione Bianca Guidetti Serra
Associazione di Mutuo Soccorso per il diritto di espressione
Associazione Primo Moroni
Circolo Anarchico Berneri
Làbas
Laboratorio Crash
Laboratorio Smaschieramenti
Noi Restiamo
Potere al Popolo – Bologna
Rete bolognese di iniziativa anticarceraria
Rete dei Comunisti
S.I.Cobas
TPO
USB – Federazione del Sociale
VAG61
XM24

Adesione all’appello per una convergenza cittadina e regionale dei percorsi di lotta.

Come rete anticarceraria aderiamo all’appello per una convergenza cittadina e regionale dei percorsi di lotta che vede insieme sindacalismo di base e realtà sociali. 
 
Il corteo regionale è previsto sabato 20 maggio 2020 alle 16:30 in Piazza XX Settembre a Bologna. 
 
Comunicato di adesione (pdf)
 
Crediamo sia importante portare una voce sul carcere perchè quello che succede dietro quelle mura riguarda tutte e tutti.
 
I media ufficiali hanno raccontato le rivolte come momenti di follia, barbarie. Quello che ci è chiaro qui fuori è che quei momenti vanno letti al di là dell’ottica emergenziale, poiché rappresentano l’esplosione di una rabbia più profonda, radicata nella violenza legalizzata che è costretto a vivere sulla sua pelle ogni giorno chi è reclusx in carcere. 
 
Nei teatrini televisivi assistiamo a spettacolarizzazioni mediatiche che attribuiscono alle rivolte una regia occulta, prima la mafia, poi gli anarchici, che si sbattono pure in prigione a scopo preventivo, mentre è il carcere che uccide.
 
In carcere si muore, di carcere si muore, oggi come ieri, oggi piu di ieri. 
 
Alle quattordici morti durante le rivolte, cui è seguito un silenzio assordante, liquidate come morti d’overdose prima ancora di una qualsiasi autopsia, si aggiungono le ventidue per suicidio dall’inizio dell’anno, tre delle quali avvenute in “isolamento sanitario precauzionale”, le morti per covid e tutte le morti di carcere di ogni giorno.
 
Questa pandemia ha portato allo scoperto l’incompatibilità della condizione detentiva con il rispetto del diritto alla salute, non solo per le condizioni igieniche delle carceri, per il sovraffollamento e una sanità assolutamente inadeguata e inesistente già in condizioni normali, ma strutturalmente: il carcere è in sè stesso l’antitesi della salute, della prevenzione e della cura per la violenza e la deprivazione su cui si fonda come istituzione. 
 
Gli infiniti vincoli e procedure che regolano la vita tutta all’interno degli istituti di pena, alla mercé completa della discrezionalità di guardie e direzione, è la prima fonte di deterioramento della popolazione detenuta. Isolamento, solitudine, sradicamento, impossibilità di comunicare. A volte basta un gesto di nervosismo per vedersi impedito un permesso o altri benefici. L‘impatto con l’immobilità del tempo, con la restrizione dello spazio annienta le soggettività che lo attraversano, distrugge corpi e menti, genera handicap, disturbi e malattie psico-somatiche.  
 
Si parla di diritto alla salute ma al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di provocare  malattia, menomazione e anche di uccidere.
 
A proposito di salute, a Bologna, che ha visto due morti per covid, il responsabile di medicina penitenziaria dell’Ausl ha disposto che il personale sanitario interno al carcere non indossasse le mascherine facendo dilagare il virus tra detenutx, guardie e operatorx sanitari, oltre che in altre carceri a causa dei trasferimenti e delle deportazioni punitive, questo perchè l’adozione dei dispositivi sanitari avrebbe rischiato di far crescere nuovamente la tensione tra i prigionieri. A Ferrara, nell’ambito delle accuse ai tre agenti di polizia penitenziaria per reato di tortura, un’infermiera del carcere è imputata per false attestazioni.
 
In carcere la salute si chiama omertà.
 
Gli isitituti di pena si mostrano per quello che sono: macchine sempre più specializzate che zittiscono e neutralizzano le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando i soggetti sociali che queste contraddizioni soffrono sotto forma di molteplici oppressioni.
 
Chiediamoci sempre chi è che quasi sistematicamente finisce in carcere, in una civiltà ultra-capitalista dove la giustizia è quasi sempre nelle mani di chi detiene i maggiori privilegi economici: il carcere è una  prospettiva sempre piu concreta per chi non arriva alla fine del mese, per le fasce oppresse dalla società, le ultime e gli ultimi, per chi lotta, per coloro che risultano meglio inter-cambiabili all’interno di  un’economia nella quale non siamo che bulloni, l’umanità-manovalanza, spendibile, spremibile, rovinabile a buon prezzo e che troppe volte dentro ci finisce e resta perchè non ha i “contatti giusti” o non può permettersi un buon avvocato. Per questo, la questione del carcere, ingranaggio centrale del modello societario imposto e mantenuto, non può che essere una questione di classe che riguarda tutte e tutti noi.
 
Gli agenti indagati con l’accusa di pestaggi e torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e Ferrara  balzati alle cronache in questi giorni sono la punta dell’iceberg del sistema che combattiamo!
 
La paura fisica, le botte, la violenza, sono l’aspetto principale della detenzione. Il pestaggio è lo strumento del potere interno, il suo mezzo di controllo.
 
Infatti a fronte delle richieste di indulto, amnistia, salute, dignità e libertà della popolazione detenuta, quello che è arrivato sono trasferimenti punitivi e torture, manganelli sulle braccia, sulle mascelle, sui genitali, persone fatte spogliare e picchiate senza ritegno,  messe in isolamento, costrette a firmare fogli nei quali dichiaravano di essere accidentalmente cadute, trasferite in altri istituti attraverso vere e proprie deportazioni punitive.
 
Il carcere è uno strumento di controllo sociale e negazione centrato sulla violenza, ma ci accorgiamo del male che produce solo in situazioni di emergenza.

E non si tratta solo di sovraffollamento, troppo spesso coloro  che  parlano  di  sovraffollamento  nelle  prigioni sono gli stessi che le hanno riempite fino a farle scoppiare, giocando sulla paura delle persone. Non si tratta di costruire altre prigioni, ma di svuotare quelle già esistenti!

Il Dap invece proprio qualche giorno fa ha fatto sapere che si torna alla normalità, ‘l’emergenza sta rientrando’: Bernando Petralia e Roberto Tartaglia, rispettivamente capo e vice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno firmato il documento che prevede la sospensione della circolare sulle scarcerazioni legate all’emergenza covid. Ma ad oggi, nonostante le rivolte e nonostante gli istituti di pena stiano esplodendo dal punto di vista sanitario e in generale per le condizioni di “vita” al loro interno, sono pochissimx quellx che hanno potuto beneficiare delle misure alternative!
 
Crediamo sia urgente una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione di classe, di razza e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste tutte le prigioni (che ne sono lo specchio), le frontiere, i centri di detenzione e rimpatrio per migranti, che hanno dimostrato anch’essi, come le carceri, la loro funzione, una macchina del ricatto per gli interessi di pochi, che ammette che ci siano vite che valgono meno, sacrificabili.
 
Siamo qui per riportare il tema delle istituzioni totali alla collettività.
 
Sentiamo il bisogno di sottolineare l’importanza della solidarietà con chi lotta dentro e fuori le prigioni per rompere il filo spinato dell’omertà che avvolge queste istituzioni, affinchè le richieste di indulto, amnistia e libertà urlate a gran voce da tuttx i reclusi vengano ascoltate!
 
Nella tregua di quest’emergenza sanitaria, ritorniamo in piazza con la consapevolezza che non è come se nulla fosse successo in questi mesi!

Lottare per un mondo oltre il carcere, per la chiusura di tutti i CPR  e la libertà di tutti i reclusi è un passo per la libertà di tutte e tutti noi!

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

 



Il testo della chiamata e il manifesto dell’iniziativa:

https://oltreilcarcere.noblogs.org/post/events/appello-per-una-convergenza-cittadina-e-regionale-dei-percorsi-di-lotta/