Sull’ennesima operazione anti-anarchica

E’ una campagna repressiva a tutto tondo quella a cui si sta assistendo.
 
Una campagna repressiva col preciso intento di colpire le anarchiche e gli anarchici e spaventare preventivamente chi lotta dentro e fuori le carceri.  Il pugno duro per intimidire e segnare bene un confine da non oltrepassare che sia di monito a tuttx, giocando oggi come ieri sulla divisione tra ‘buoni’ e ‘cattivi’. Lo spauracchio del terrorismo per ridare ‘lustro’ al potere dello Stato e della sua intoccabilità, rinforzando l’idea di una fortezza-Stato e di un‘autorità inespugnabile ed inevitabile, per scoraggiare espressioni di malcontento, o insurrezioni di qualsiasi genere.
 
Proprio mentre in carcere si muore e altrove le strade sono accese dalla ribellione, in un momento in cui anche guardie e sbirri vivono un momento di frustrazione, dare in pasto loro questi arresti diventa una strategia per rispondere al bisogno di riconoscimento dei ‘servitori dello Stato’, un contentino strumentale ai giochi mediatici di massa con lo scopo di restituire prestigio alle strutture del dominio ribadendo a tuttx che non si attacca il potere. 
 
L’esercito è l’istituzione base sulla quale si identificano tutte le istituzioni totali che perpetrano lo sfruttamento della nostra società ed il carcere è l’istituzionalizzazione piu dura dei  meccanismi  di  violenza e di genere che le istituzioni esprimono.
 
Si sbattono in prigione le anarchiche e gli anarchici, tirando fuori dal cappello inchieste a tutto spiano per isolare le lotte e coltivare attendismo, mentre carcere e repressione diventano sempre più una prospettiva reale per chi solidarizza con i detenuti e con le lotte anticarcerarie, per chi sostiene idee e pratiche di azione diretta e liberazione che non rimandino la vita a domani, per chi lotta per la riappropriazione dei propri bisogni, per chi sostiene gli spazi sociali liberi e autogestiti, per chi non si arrende ad un destino di oppressione, sfruttamento e annientamento. La sproporzione della violenza viene ribaltata dalla narrazione mediatica. La prevenzione diventa vera e propria persecuzione. Pugno duro, nero e strategico. Colpirne pochi per educarne cento, la repressione ai tempi della Pandemia non perdona e anzi, recupera dal passato in ottica ‘preventiva’ sul futuro.
 
Una strategia della tensione per reprimere, con il potere dell’esercito e il pretesto della difesa della Patria, chiunque intenda mettere in discussione le strutture del dominio e dell‘oppressione.
 
L’obiettivo è nascondere le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo castigando e criminalizzando i soggetti sociali che queste contraddizioni esprimono. 
 
Solidarietà ai compagni e alle compagne anarchiche colpite dalla repressione e a chi lotta dentro e fuori le prigioni per un mondo libero dallo sfruttamento dell’unx sull’altrx!
 
Rete bolognese di iniziativa anticarceraria


Come rete anticarceraria aderiamo al presidio in solidarietà con gli/le anarchici/che colpiti/e dall’operazione “Bialystok” venerdì 19 giugno alle 18 in Piazza dell’Unità a Bologna.

 

 

Breve rassegna anticarceraria – dal 1° giugno al 16 giugno 2020

Suicidio
 
13 giugno 2020 – P. B. viene trovato impiccato alle 6 di mattina nel carcere di Rebibbia, aveva 42 anni.
 
Salgono così a 22 i suicidi avvenuti in carcere dall’inizio dell’anno, tre dei quali avvenuti in “isolamento sanitario precauzionale”.
 
Salute:
 
16 giugno 2020 – Un detenuto nel padiglione Milano, nel carcere di Poggioreale, è risultato positivo alla scabbia e ora si trova in isolamento. 
 
Morire di carcere: dossier 2000-2020
Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose
Detenuti morti dal 2000 al 2020:
 
Pestaggi
 
11 giugno 2020 – 57 agenti indagati con l’accusa di pestaggi e torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) dopo la rivolta dei detenuti del 5 aprile.*
Le guardie salgono sul tetto contro le modalità di perquisizione da parte dei carabinieri, alcuni di loro sono stati fermati fuori al carcere per essere identificati. 
 
Nel pomeriggio Salvini ha visitato il carcere a sostegno della polizia penitenziaria, legittimando gli abusi, il pugno duro sulle rivolte, e invocando piu controllo, piu telecamere e l’introduzione del taser in carcere.
 
*Il 5 aprile l’isolamento per sospetto (poi confermato) Covid-19 di un detenuto con la febbre alta addetto alla distribuzione dei pasti ha allarmato la popolazione reclusa: circa 150 detenuti hanno organizzato la tradizionale battitura delle sbarre. Nella terza sezione del reparto Nilo i detenuti si sono barricati dietro una barriera di brande, chiedendo la distribuzione di dispositivi di protezione. 
Il giorno successivo il magistrato di Sorveglianza ha dichiarato che gli atti di insubordinazione ‘non avevano assunto i connotati di una rivolta’. 
Le testimonianze dicono che una volta andato via, tra le 15 e le 16, gli agenti del peniteziario sono entrati nel reparto in tenuta antisommossa, con i volti coperti dai caschi, e hanno proceduto ai pestaggi.
 
La lettera di un detenuto a sua moglie: «Caro amore mio, oggi è l’8 aprile e ti scrivo per dirti che non sto molto bene e non so nemmeno come mandarti questa lettera in quanto non le fanno partire… sto vedendo se esce qualcuno per fartela avere. Amore, qui il giorno 6 aprile ci hanno fatto le perquisizioni a tutto il reparto, ma non solo questo, ci hanno distrutto le celle con parecchie cose che avevamo comprato noi stessi. Per colpa di qualche sezione a rimetterci sono state anche le altre e, sezione per sezione, sono venuti quasi 100 – 150 persone di polizia penitenziaria con i manganelli e si sono messi tutti in fila per il corridoio dopo che ci hanno distrutto le celle e poi cella per cella ci spedivano in saletta e mentre camminavano per il corridoio ci hanno distrutti di manganellate. Calcola che io Amò sto pieno di lividi dappertutto. Ma non è finita, stanno ancora continuando a fare abusi sui detenuti: all’improvviso viene la squadretta e portano i detenuti giù e li gonfiano di mazzate. In poche parole Amò io non ce la faccio più a subire tutte queste violenze. Per i troppi lividi che ho addosso non ce la faccio nemmeno a sedermi sulla sedia. Poi l’infermiera non ci chiama per farci refertare per paura delle guardie… Comunque Amò io ho ancora tante cose da raccontare, se parte la denuncia finirò di raccontare».
 
13 Giugno 2020 – Nuova rivolta ‘rientrata’ nella stessa giornata. Una cinquantina di detenuti ha preso il controllo del dipartimento ‘Danubio’, lo stesso dove sono indagati 57 poliziotti dalla Procura per reati di tortura, violenza privata e abuso di potere. La rivolta ha portato a scontri fisici con la polizia penitenziaria.
 
14 giugno 2020 – Sono stati trasferiti in altre strutture penitenziarie campane (Avellino, Benevento e Ariano Irpino) i tre detenuti ritenuti responsabili della rivolta scoppiata il 13 giugno nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
 
Il Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria ha inviato oltre 70 unità negli istituti della Campania.
 
16 giugno 2020 Osapp, SiNAPPe, UILPA, USPP, FNS – CISL rendono noto con un comunicato stampa la loro intenzione di manifestare nel piazzale antistante il carcere di Santa Maria Capua Vetere il prossimo 19 giugno alle 10.
 
Tortura
 
15 giugno 2020 – Tre agenti di polizia penitenziaria sono accusati a Ferrara del reato di tortura per aver fatto spogliare e picchiato in cella un detenuto. Per loro la Procura ferrarese ha chiesto il rinvio a giudizio e l’udienza preliminare è fissata per il 9 luglio.
 
I fatti risalgono al 30 settembre: il detenuto è stato denudato, fatto mettere in ginocchio e percosso dalle guardie, anche con un oggetto di metallo, quindi lasciato lì fino a quando non è stato notato dal medico del carcere. Successivamente l’uomo è stato trasferito a Reggio Emilia. Due agenti sono accusati anche di falso e calunnia per i rapporti sulla vicenda. E’ imputata anche un’infermiera del carcere per false attestazioni.
 
Repressione solidarietà
 
12 giugno 2020 – Carabinieri del Nucleo Operativo Radiomobile hanno denunciato a piede libero nove persone per violazione all’articolo 18 del Tulps. Il provvedimento fa seguito ad un presidio solidale svolto in un luogo pubblico senza dare avviso al questore e alla presenza di alcuni striscioni di stoffa attaccati sulle mura del carcere recanti “scritte sovversive”.
 
12 giugno 2020 – Dopo il ‘flop’ dell’operazione ‘Ritrovo’ ancora arresti e accuse di terrorismo tra le anarchiche e gli anarchici con l’operazione ‘Bialystok’ messa in campo dalla Procura di Roma. Sette i/le compagnx coinvoltx, 5 in carcere e 2 ai domiciliari. Le accuse sono di nuovo 270bis (per le persone in carcere) più numerosi fatti specifici, tra cui attentato con finalità di terrorismo, incendio e istigazione a delinquere, diversi episodi riguarderebbero azioni in solidarietà con prigionieri e prigioniere.
 
Per segnalare notizie e info scrivere a: soscarcere at autistici.org

CHI NON MUORE SI RITROVA

Riceviamo e pubblichiamo:

Chi non muore si ritrova, considerazioni in merito all’operazione “Ritrovo”

Intorno alle due di notte di mercoledì 13 maggio 2020, i Ros di Bologna, Firenze e Fidenza insieme a 200 carabinieri irrompono nella vita di 12 anarchiche e anarchici. Il gip Panza, su richiesta del pm Dambruoso, ne dispone per sette l’arresto  e per cinque l’obbligo di dimora con rientro notturno (per quattro di questi anche la firma quotidiana). Un copione che conosciamo bene e che grazie alle dichiarazioni della procura, che ci rivelano la natura “preventiva” degli arresti, rende a chiunque ancora più esplicito il messaggio lanciato: sia ben chiaro a chi spera che la crisi apra la possibilità di dare uno scossone agli attuali rapporti sociali che lo Stato non cambia. Le accuse sono associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, avente per reati scopo l’istigazione a delinquere, il compimento di alcuni danneggiamenti e un incendio.

270 bis: associazione con finalità di terrorismo

Sebbene in fase di riesame l’accusa sia stata ritenuta inappropriata dal tribunale delle libertà, azzardiamo qualche parola in merito visto che su di essa, e il suo avvallamento da parte del gip Panza si sono rette le misure cautelari.
Anche in quest’operazione, denominata “Ritrovo”, al centro delle accuse stanno le lotte. Due in particolare: quella contro i CPR e quella contro il carcere – fosse questo destinato a compagni e compagne o meno. Lo Stato parla chiaro: terrorista è chi  esprime solidarietà, chi lotta, chi non tiene la bocca chiusa, chi manifesta aperta approvazione verso l’azione diretta e le forme di opposizione radicali – anche illegali – alle strategie della repressione e dello sfruttamento. Non solo, una ricorrenza che si ritrova anche in altre recenti operazioni repressive è l’utilizzo del reato di istigazione a delinquere come collante dell’ipotesi associativa: la parola, di questi tempi, fa paura e lo Stato si muove ormai con modalità da regime. Accade da un po’ e ci aspettiamo accadrà ancora.
Almeno in potenza, dicono le carte, la “cellula” di Bologna aveva la capacità di attivare azioni piccole ma replicabili su scala nazionale da gruppi ad essa simili. Gruppi con cui la suddetta “cellula” era in contatto: una ramificazione capace di “costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”.
La nostra posizione in merito è semplice: se portare solidarietà a chi si rivolta e schierarsi contro le ingiustizie è terrorismo, allora siamo tutti e tutte terroristi. Ben lieti di accettar l’accusa se in questo mondo terrorista è chi non chiude la bocca e sceglie di attaccare. Attaccare quelle stesse istituzioni che sulla paura fondano il governo dei popoli. A riguardo potremmo parlare di guerre, bombe nelle piazze, morti in mare e manganellate, ma a che serve? Gli ultimi tre mesi non sono forse bastati a farci capire di quanta paura ha bisogno lo Stato per governarci? La paura dei controlli, la paura dell’arbitrio delle forze dell’ordine, dell’“abuso di potere”, la paura dell’ammalarsi e del far ammalare, costretti a doversi recare a lavorare per forza e a non potersi curare adeguatamente a fronte dello smantellamento della sanità. Una paura che si fa sempre più terrore se pensiamo agli arresti degli scioperanti e alle quattordici morti nelle carceri.
Le gestione delle crisi da Covid-19 ha rivelato in maniera lampante quali siano le vite più sacrificabili per il potere in un regime di produzione tecnodigitale come ad esempio anziani e disabili nelle case di riposo o case per disabili; piuttosto che le persone detenute, corpi criminalizzati nelle carceri e nei Cpr.
Una parte sempre più ampia della popolazione subisce un livello di violenza sempre maggiore e reagire è presto detto terrorismo.

Istigazione a delinquere

Oggi, l’accusa di istigazione a delinquere esplicita una contraddizione evidente, l’ingiustizia e l’arbitrio su cui il potere si fonda. Perché l’istigazione si verifichi – afferma il pm Dambruoso – è necessario un contesto adeguato e recettivo; perché non si perseguano le idee, è necessario, come in questo caso, che l’ambiente economico-sociale sia adeguato a recepire l’istigazione all’atto illecito. Il senso è: quello che ieri non era istigazione oggi lo diventa perché i tempi sono cambiati. Di cos’altro c’è bisogno per capire che il codice penale non è altro che uno strumento per il mantenimento della disparità di classe, finalizzato alla sola tutela della classe dirigente che, a seconda dell’aria che tira, rischia oggi di vedersi volar via il cappello e domani la testa?
È in quest’ottica che la “strategica valenza preventiva” assume tutto il suo senso. In un momento come questo un’operazione che tolga di torno dodici teste pensanti, dodici cuori liberi, fa assai comodo, perché – l’hanno detto loro stessi – la crisi incalza e i tempi a venire saranno bui per chi siede sul trono. Le sei misure cautelari rimaste (obblighi di dimora con rientro notturno) infatti riguardano proprio il reato di istigazione.
Permetteteci però una breve parentesi su questa “preventività”. La prima richiesta delle misure cautelari, inizialmente respinta dal gip, risale al luglio 2019, la seconda e accettata ci parla invece del 6 marzo 2020, alla vigilia delle rivolte nelle carceri. L’operazione era pronta a dispiegarsi da un bel pezzo e la “strategica valenza preventiva” si aggiunge, assieme a qualche recente segnalazione circa i presidi sotto il carcere della Dozza, a un malloppo già denso.
Agitatori, fomentatori, sobillatori, propagandisti, questo anarchici e anarchiche lo sono da sempre. Una cosa però ci sentiamo di dover chiarire: gli anarchici e le anarchiche non dicono a nessuno di fare per loro conto qualcosa. Essi difendono quello che ritengono essere giusto, agiscono in prima persona, da soli o con altre persone, ma mai si pongono al di sopra degli altri, pronti a plasmarne i comportamenti e l’agire. Questa è una strategia propria della politica e noi nella politica non crediamo, crediamo nell’azione diretta, nelle sue mille forme, che sono della politica l’esatto opposto.
Non si tratta di rispedire al mittente le accuse, né tanto meno capire se anarchismo e istigazione vadano di pari passo (una diatriba che lasciamo volentieri agli avvocati), ci preme semmai interrogarci su quale siano le cause profonde della rivolta. La rivolta secondo qualcuno sta nelle parole istigatrici del sobillatore, nelle insinuazioni del folle, che avrebbero la capacità di incrinare questo migliore dei mondi possibili. Secondo costoro se fuori dalle mura di carceri e CPR fossero mancate le presenze solidali le rivolte all’interno non si sarebbero verificate. Come ben sappiamo le rivolte in certi luoghi abbondano, anche senza che ci siano presenze solidali là fuori a far da cassa di risonanza. Questo perché la presa di coscienza della miseria in cui si vive, l’individuazione del nemico e la necessità di agire non sono certo determinate da discorsi istigatori, quanto piuttosto dalle angherie subite e dalle ingiustizie non più sopportabili.
È d’abitudine nei CPR da anni, è stato così nelle carceri nel marzo 2020 e lo è in questi giorni negli Stati Uniti, dove all’ennesimo sopruso, all’ennesimo omicidio di una persona nera compiuto da poliziotti bianchi, parte della popolazione è insorta. La rabbia negli Stati Uniti lo dice forte e chiaro: non sono necessari gli anarchici che istigano, lo schifo di questo mondo è di per sé sufficiente.
Eretici, socialisti, autonomi, anarchici, antifa… di categorie con cui i governi hanno  cercato, da sempre, di mistificare il fenomeno dell’opposizione radicale, pur di non affermarne le radici profonde, non se n’è mai fatta parsimonia. La verità, però, è che il seme della rivolta sta in un terreno fatto di sfruttamento, controllo, repressione, razzismo, ingiustizia e, sempre più, gratuita prevaricazione. Non c’è da stupirsi se un giorno decidesse di germogliare anche qui, anche nel più completo e assordante silenzio di voci oppositive. Statene certi, accadrà.
Lo si è visto durante i mesi di quarantena. Mentre fuori il governo della paura ammansiva la popolazione, dentro le carceri questa stessa paura è diventata ingestibile per chi su di essa ha sempre costruito il proprio potere. Già dal 26 febbraio, Roberto Ragazzi, dirigente del Dipartimento di Medicina Penitenziaria dell’Ausl di Bologna, ordinava ai suoi operatori di non indossare mascherine nel reclusorio al fine di non allarmare la popolazione detenuta.
Il 9 marzo, messi all’angolo ed esasperati, i detenuti decidono che la paura loro imposta è divenuta oramai insopportabile, la situazione sfugge dalle  mani delle istituzioni penitenziarie e alla Dozza esplode una rivolta, sulla scia delle altre che si accendono nelle prigioni lungo la penisola.
Chi può, di fronte a ciò, ancora pensare che la rivolta sia di fatto il prodotto della cospirazione o di qualche isolato contestatore? Istigano gli anarchici o è l’invivibilità di una vita fondata su paura e terrore la prima fonte di istigazione?

Azioni e sabotaggi

Tutto parte da qui, o almeno così dicono, anche perché intercettazioni ambientali e telefoniche erano già attive da tempo, almeno dal 2016, dalla bomba messa alla caserma di Corticella. Tutto comunque partirebbe da una notte del dicembre 2018, quando fu dato fuoco a un’antenna sui colli bolognesi. I ponti radio di Santa Liberata erano in uso a radio e televisioni locali, nonché a forze dell’ordine (rete interforze) e a non meglio precisate ditte coinvolte in sorveglianza audio-video. Quella sera alcune reti televisive si trovano oscurate e la Guardia di Finanza subisce un’interruzione momentanea delle sue comunicazioni radiofoniche. “Spegnere le antenne, risvegliare le coscienze, solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati” questa la scritta lasciata nei pressi. Era questa una delle tante azioni che in Italia ed Europa si verificano ai danni dell’infrastruttura fisica del mondo immateriale.
Durante il periodo febbraio-aprile 2019, contestualmente a manifestazioni di piazza, ma non solo, si verificavano poi imbrattamenti e danneggiamenti alle filiali delle banche BPER e BPM, entrambe coinvolte nella proprietà della struttura del CPR di Modena in previsione d’apertura, oltre che contro telecamere, monumenti nazionalisti e una caserma dei carabinieri. Che dire, quando ai responsabili di ingiustizie ed oppressione tocca un po’ dell’amaro che ci fanno ingoiare ogni giorno non riusciamo a non rallegrarcene. Certe azioni, seppur piccole, hanno tutto un loro senso per noi. Il nostro criterio di giustizia non è dato da un codice che non abbiamo mai sottoscritto, ma dalla non casualità di queste azioni e dal significato dell’obiettivo che scelgono.
Che provino pure a tapparci la bocca a suon di denunce, colpire chi sfrutta e reprime è giusto e questo è un fatto.

Solidarietà

Affrontare la repressione significa cercare di trasformare la merda in fiori.
Le dimensioni della solidarietà ricevuta sono state una bella sorpresa. Non solo “militanti ed attivisti”, ma anche molte persone che nessuno avrebbe immaginato poter prendere le difese di una “banda di anarchici”. In ciò hanno sicuramente avuto un peso non indifferente le amicizie, le conoscenze, gli incontri e le persone che segnano la quotidianità, la vita di tutti i giorni insomma. Con ciò non vogliamo affermare che il “radicamento sociale” sia la ricetta contro la repressione, anche perché una sua precisa definizione risulta piuttosto difficile, né i percorsi di anarchici e anarchiche debbono prevederlo di necessità. Tuttavia ciò è stato in questa specifica situazione un dato che ci sentiamo di dover riportare.
Questa solidarietà ricevuta non è casuale, così come non lo è il fatto che dopo mesi di reclusione domiciliare, paura e angherie poliziesche, qualche persona abbia pensato che quest’ulteriore svolta repressiva, destinata a chi negli ultimi tempi aveva chiaramente fatto voce contraria all’andazzo securitario, fosse davvero troppo.I vecchi rapporti sociali sono mutati in peggio per gli sfruttati e devono essere repentinamente normalizzati; forse c’è chi non se l’è sentita di abbassare la testa, anche solo di fronte alle affermazione inerenti la “strategica valenza preventiva”, come se i propri amici e conoscenti fossero un virus da debellare, gente scomoda di cui sbarazzarsi a prescindere.
Ad essere sinceri, però, va rilevato un fatto, di cui siamo consapevoli e su cui è necessario riflettere per quel che sarà il futuro: la debolezza dell’ipotesi accusatoria è stata sicuramente un fattore importante di mobilitazione della solidarietà, soprattutto da parte di persone lontane dalle lotte. Essa ha sicuramente contribuito a far nascere l’idea di un’ingiustizia da regime che andava compiendosi. La situazione contingente ha fatto gioco, lo riconosciamo. Sappiamo pure, però, che la solidarietà dev’essere rivoluzionaria, sempre a fianco di chi lotta contro Stato e padroni e non condizionata dalle accuse mosse. Dobbiamo avere l’onestà di leggere i contesti, ma pure la coerenza di rimanere fedeli alle nostre convinzioni anche nei momenti più duri, cercando di dimostrare una solidarietà forte e decisa anche quando la repressione colpisce più forte. Proprio per questo non ci siamo mai permessi di parlare di “montature”, né mai si è scelto – come giusto che fosse – un discorso innocentista, anche di fronte all’allargamento della solidarietà, cercando di continuare a portare discorsi radicali a più orecchie possibili. “Spegnere le antenne, risvegliare le coscienze”, così si apriva il corteo del 30 maggio, una dichiarazione di come l’azione diretta, il sabotaggio e le pratiche di attacco a strutture e servi di questo sistema siano giuste.
La prima risposta di fronte a tutto questo è stata quella di tornare nelle strade, come prima, più di prima, nonostante la paura e i divieti, per esprimere ciò che per noi è solidarietà: le pratiche.
La repressione quando sequestra compagni e compagne alle lotte, ha per scopo il limitarci materialmente togliendoci forze e spaventandoci. Bisogna essere coscienti che i nostri percorsi prevedono la possibilità che lo Stato prima o poi bussi alle nostre porte, bisogna prepararsi all’eventualità che la repressione arrivi e in quel momento mantenere la lucidità, per non farsi affossare e – sarà banale, ma – rispondere rilanciando le lotte, per non dichiarare la resa. Proprio quando è la solidarietà ad essere attaccata – come in questo caso – e proprio quando le sue reti sono messe in discussione,occorre far della repressione condizione e opportunità di rafforzamento e rilancio. Nella difficoltà comune essa può divenire opportunità e condizione per conoscersi, capirsi e organizzarsi meglio, rafforzarsi e rendere la solidarietà un’arma.
Il periodo che stiamo vivendo dimostra che lo Stato ha imboccato una strada chiara e significativa, abbiamo ben compreso che i prossimi mesi e anni saranno delicati e tesi.
Più consapevoli e più forti di prima, ci ritroveremo nelle strade.

«E dite, dite! Che cosa sareste voi
senza dio, senza re, senza padroni,
senza ceppi, senza lacrime?
— Il finimondo!»

“Matricolati!”,Cronaca sovversiva, 26 maggio 1917

Anarchici e anarchiche di Bologna

*Poco prima della stesura definitiva del testo ci è giunta la notizia dell’ennesima operazione repressiva che ha colpito 7 tra compagni e compagne, 5 in carcere e 2 ai domiciliari, messa in campo dalla Procura di Roma. Le notizie sono ancora un po’ frammentarie, ravvisiamo però diverse similitudini con quella bolognese. A condurla sono anche qui i Ros, le accuse sono di 270bis (per le persone in carcere) più numerosi fatti specifici, tra cui attentato con finalità di terrorismo, incendio e istigazione a delinquere, diversi episodi riguarderebbero azioni in solidarietà con prigionieri e prigioniere. L’abbiamo detto, lo Stato mostra i muscoli in un momento storico che si preannuncia denso di possibili tensioni. La solidarietà è fondamentale e la ribadiamo senza se e senza ma nei confronti dei compagni e delle compagne colpiti a Roma.

I CAN’T BREATHE – PRESIDIO SOLIDALE

ADESIONE DELLA RETE BOLOGNESE DI INIZIATIVA ANTICARCERARIA AL PRESIDIO SOLIDALE PREVISTO MERCOLEDÌ 10 GIUGNO IN PIAZZA DELL’UNITÀ A BOLOGNA

Essere neutrale nei tempi, nei luoghi e nelle funzioni che preservano l’ingiustizia vuol dire stare dalla parte dell’oppressore.
 
Per riprendere la Davis, fervente abolizionista del sistema carceraio, più che porre l’accento su chi perpetra la violenza, bisognerebbe interrogarsi sulla violenza come istituzione,  sull’istituzionalizzazione  dei  meccanismi  di  violenza  e  sulle discriminazioni di genere che le istituzioni incarnano tramite l’intervento paternalista e patriarcale.
 
Come rete anticarceraria siamo qui a ribadire come il sistema penitenziario sia l’asse portante di un controllo demografico attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a funzioni di profitto. Una macchina sempre più specializzata in ogni luogo che zittisce e neutralizza le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando i soggetti sociali che queste contraddizioni le soffrono sotto forma di molteplici oppressioni.
 
Un quarto di tutti i detenuti del mondo è nelle galere a stelle e strisce (nonostante il Paese abbia appena il 5% della popolazione mondiale). Un numero impressionante se paragonato con altri Stati. 655 detenuti ogni 100mila abitanti. Il doppio del secondo in classifica (la Turchia) e del terzo (Israele). Sei volte più della Francia. Quasi 7 volte in più dell’Italia.
 
Le risposte al problema del sovraffollamento causato dalle politiche attuate e del conseguente aumento dei costi di gestione hanno portato da subito a far crescere la privatizzazione carceraria: il carcere è diventato un business redditizio, i detenuti manodopera gratuita da sfruttare.
 
L’ideologia del terrorismo, mostro mediatico, ha alimentato islamofobia e razzismo criminalizzando le comunità già oppresse.
 
La maggior parte della popolazione carceraria statunitense è composta da minoranze etniche. Un afroamericano su 9 fra i 20 e i 34 anni è attualmente in prigione. Uno su tre, nel corso della propria vita, finirà prima o poi in carcere. Gli ispanici hanno una probabilità di finire in carcere 4 volte maggiore rispetto ai bianchi. 
 
Una volta che le leggi repressive entrano in vigore, il pregiudizio razziale influenza ogni passaggio del sistema giudiziario, aumentando la probabilità che una «persona di colore» sia fermata dalla polizia, perquisita, arrestata, accusata, condannata, e che sconti un periodo di carcere. Statisticamente è principalmente alle persone bianche che viene concessa una seconda possibilità, o il beneficio del dubbio.
 
La Guerra alla ‘droga’, altro mostro mediatico ed elettorale, è stata un fallimento totale a costi umani e finanziari enormi. Non solo non ha ottenuto nessun risultato, come ci raccontano i laboratori antiproibizionisti, ma rimane il fattore determinante che alimenta il sistema carceri. L’applicazione della legge come al solito è mirata alle comunità e alle soggettività che sono meno in grado di difendere se stesse riproducendo in tal modo la disparità razziale nella popolazione carceraria.
 
Disparità razziale e non solo.
 
Le donne, oltre alla repressione, soffrono continui abusi sessuali e maltrattamenti. 
Idem  chi non è conforme, chi vive una fragilità psichica, chi non regge il peso dellisolamento forzato
Le transessuali sono tra le comunità più criminalizzate e vulnerabili: «Le persone transgender non entrano nella classificazione binaria uomo/donna che il carcere stesso produce e consolida socialmente» sottolinea Angela Davis.
 
E’ necessaria una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione razziale, di classe e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste le carceri. Ed è proprio il rifuto di ogni binarismo che oggi ci invita alla ricerca di formule nuove per esprimere i rapporti di forza e oppressione e destituire poteri e privilegi.
 
Le istituzioni totali, durante questa pandemia stanno mostrando tutte le loro contraddizioni e rivelandosi per quello che sono: un deposito dove accumulare persone che non hanno il diritto di essere considerate tali. 
 
Luoghi in cui vengono rinchiusx tuttx quellx la cui vita conta di meno: perché criminali, perché ‘anziani‘, perché ‘migranti’, perchè ‘psichiatrici’, ‘disabili’ o ‘malati’, perchè ‘non conformi‘, perchè ‘improduttivi‘.
 
Nelle carceri, nei reparti, nelle strutture psichiatriche, si muore oggi come ieri. Di Tso, contenzione, abbandono, esclusione.
 
In nome delle frontiere ogni giorno i migranti e le migranti in fuga da guerra e povertà subiscono controlli razziali, rastrellamenti, violenze e deportazioni. Tutto questo avviene nelle stazioni dei treni, negli areoporti, nelle questure e nei campi di accoglienza delle nostre città, come ci ricorda bolognanoborders.
 
Abbiamo già accettato questo destino nel momento in cui accettiamo l’esistenza di queste istituzioni, di queste frontiere, di questi muri, di queste gabbie. Spazi dove la libertà sparisce e dove il controllo regna tra repressione, oggettivazione, alienazione, medicalizzazione e psichiatrizzazione.
 
Quelli  che  ci  parlano  di  sovraffollamento  nelle  prigioni sono gli stessi che le hanno riempite fino a farle scoppiare! Per noi non si tratta di costruire altre prigioni, ma di svuotare quelle già esistenti.
 
E’ necessaria oggi un’insurrezione contro il dominio,  contro qualsiasi forma il dominio possa assumere, partendo dalla destituzione di quelle istituzioni che continuano a ripordurlo, altrimenti nessun cambiamento sarà possibile.
 

L’unica sicurezza è la libertà!

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria


QUALCHE FOTO DEL PRESIDIO

Repatriaciòn ya!

Condividiamo anche sul blog per quantx hanno scelto giustamente di boicottare facebook.

Dalla Rete internazionale in difesa del popolo mapuche. Milano – Roma – Bari.

 


Mari mari kom pu che!

Come Rete Internazionale in difesa del popolo mapuche, di Milano, Roma e Bari vogliamo ringraziare tutte le realtà e i collettivi che hanno aderito alla petizione per il rimpatrio del compagno FACUNDO HUALA, prigioniero politico mapuche.
Scusandoci per l’utilizzo della parola “rimpatrio “che la stessa comunità non gradisce ma che è il termine legale per procedere a questa richiesta a causa dell’attuale emergenza Covid19 al interno delle diverse carceri cilene e alla distanza geografica che impedisce le visite e la comunicazione con la propria famiglia e comunità.

FACUNDO sta scontando 9 anni di condanna , di cui in pochi giorni , il prossimo 27 giugno saranno già 3 anni di prigione politica per la lotta che ha portato avanti a fianco la sua comunità mapuche di Cushamen contro l’occupazione capitalista della multinazionale italiana BENETTON.
Per cui, invitiamo a tuttx voi a poter esprimere quel giorno, un saluto, un gesto o azione di solidarietà per abbracciare FACUNDO dalla distanza, per esigere la sua LIBERTÀ e per fargli sapere che non è da solo dietro quelle fredde sbarre dell’oppressione carceraria alla fine del mondo.

Come Rete in difesa del popolo mapuche, stiamo sempre attentx e presenti alla sua situazione giudiziale e alla sua condizione carceraria .
Siamo riusciti da qui a organizzare l’acquisto e la consegna di pacchi alimentari per FACUNDO nel carcere di Temuco, Cile , a causa delle complicazioni per la situazione Covid19, si trova dal mese di Febbraio senza visite dovuto a che la sua compagna si trova bloccata senza poter viaggiare nel Puelmapu (Argentina) e il nostro compagno mapuche FACUNDO non può contare sulle risorse economiche per provedere alle sue esigenze alimentari e personali.

FACUNDO ci saluta…vi saluta…e ringrazia a ogni uno/a di voi compagnx per la solidarietà internazionalista, anticarceraria e rivoluzionaria e ci invita a non mollare sopratutto in questi tempi di pandemia capitalista, a mantenerci forti e in piedi.

Questa è la nostra adesione con le vostre firme per il rimpatrio del compagno mapuche FACUNDO HUALA!
https://mapucheit.wordpress.com/…/chiamata-di-solidarieta-…/

“Voi sapete quello che dovete fare. Il Winka capitalista e il suo potere è il nostro nemico. Con il nemico non si discute. Il nemico si distrugge.”

FUORI BENETTON DEL TERRITORIO MAPUCHE !
TERRA, NEWEN e LIBERTÀ!

Rete internazionale in difesa del popolo mapuche.
Milano –Roma – Bari
https://mapucheit.wordpress.com/

Marichiweu Libertà Per Facundo Huala è un brano dell’EP “Una Canzone Per Santiago”, un progetto autoprodotto dalle Brigate Poeti Rivoluzionari & Rete Internazionale Per La Difesa Del Popolo Mapuche registrato e masterizzato in “The Ravellines Studios”, a sostegno della resistenza e della lotta anticapitalista del Popolo Mapuche.
Testi & musiche: Pippo Marzulli – Nico Losito
Hanno contribuito alla realizzazione del brano:
Claudia Iacobone: flauto – Nico Losito: chitarra – voce – Raffaella Maria Barbara Direnzo: voce – Dario Nitti: percussioni – Antonio Mirenghi: ukulele – Pippo Marzulli: voce

Marrichiweu
(sulle dichiarazioni di Facundo Huala & ai weichafe della R.A.M.)

La verità mi sta cucita sulla labbra!
Come potrei tradire la mia voce?
Come potrei dirvi di non resistere?
Come potrei non dirvi
d’essere orgogliosamente Mapuche fino alla vittoria?
Quand’anche le Ande fossero rase al suolo
e le macerie disperse come arena nell’oceano
potrebbe il condor smettere di volteggiare rapace sul nostro capo?
Potrebbe il guanaco divenire predatore
o il puma divenire preda
in un perverso gioco di ruolo di cui il wingka è maestro?
Non m’importa d’essere in prigione,
in questa terra continuerà a nascere sangue Mapuche.

La verità mi sta cucita sulle labbra!
Alziamoci fratelli,
alziamoci sorelle,
alziamoci figli e figlie della terra,
alziamoci e andiamo al fiume
per bere l’acqua e per pescare,
andiamo al fiume per lottare.
In queste finte democrazie
se vuoi vivere devi lottare
e anche se diverrò desaparecido
il mio spirito non smetterà di lottare.

Alziamoci fratelli,
alziamoci sorelle,
alziamoci figli e figlie della terra,
alziamoci e andiamo nei boschi,
alziamoci e andiamo nei boschi per lottare.
I cavalli voleranno leggeri
se il tuo cuore sarà come nuvola,
la fionda sarà più potente
e la pietra sarà più precisa
se griderai marrichiweu, marrichiweu, marrichiweu.

Alziamoci fratelli,
alziamoci sorelle,
alziamoci figli e figlie della terra,
alziamoci e andiamo a lottare,
per ogni Mapuche morto
milles se levantan.

Operazione ritrovo – liberx tuttx

A poche ore dal corteo di sabato 30 maggio i compagni e le compagne presi in ostaggio dallo Stato nell’operazione ritrovo sono statx tuttx liberatx. Per alcunx è caduta ogni misura cautelare, mentre ad altrx è stata applicata la misura dell’obbligo di dimora e di rientro serale.
L’accusa di essere “un’associazione finalizzata al compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano” è caduta per tuttx, a dimostrare come lo spauracchio del terrorismo sia sempre stato un pretesto addotto dalla Procura per fomentare l’opinione pubblica contro gli anarchici e le anarchiche e tentare di spezzare la solidarietà e le convergenze tra le lotte. Se c’è ancora qualcunx persuasx della necessità e della possibilità di una trasformazione sociale globale, meglio sbatterlo in prigione. L’obbiettivo di questa logica totalitaria è che nessun cambiamento deve essere  possibile.
È stata la stessa
Procura ad ammettere la finalità preventiva di tale operazione, con un’attenzione specifica sulle mobilitazioni anti-carcerarie.
 
Tra la gioia di poter riabbracciare compagne e compagni, vogliamo ribadire che solo la lotta paga.
 
Quando lo Stato gode di poco consenso la carta della ‘guerra contro il terrorismo’ appare per riguadagnare il ‘prestigio’ perduto, ma la loro prevenzione non fermerà la nostra voglia di libertà e la solidarietà con chi lotta per un mondo migliore. 
 

Rete bolognese di iniziativa anticarceraria

Una lettera dal carcere di Udine

Riceviamo e pubblichiamo una lettera dal carcere di Udine dall’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione.

Nella nota iniziale veniamo informatx di ulteriori procedimenti penali in corso per intimidire le lotte: istigazione a delinquere e diffamazione a due compagnx per un interventa lasciata ad una web radio in occasione di un presidio sotto al carcere di Udine del dicembre scorso.

Contro i padroni di merda, contro tutti i padroni!

La Procura in tempo di emergenza olea i meccanismi della repressione per colpire chiunque si oppone apertamente alle condizioni di sfruttamento cui è sottopostx/sono sottoposte gli/le altre.
 
Questa volta è toccato agli/alle attivistx del collettivo Hobo, che qualche giorno fa hanno ricevuto “visite” della Digos a casa, per notificare 5 divieti di dimora e 1 divieto di avvicinamento. 
L’inchiesta, messa in piedi dal PM Guastapane, attacca frontalmente 19 maschere bianche imputando loro le accuse di: tentata estorsione, lesioni personali, violenza privata, diffamazione, imbrattamento di cose altrui, disturbo delle occupazioni pluriaggravati in concorso e utilizzo di mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico. 
 
Gli/le attiviste colpite dalle misure cautelari mesi fa hanno creato una pagina facebook, “il padrone di merda”, in cui vengono postati video di denuncia verso attività commerciali e società che schiavizzano le loro dipendenti, con stipendi e contributi mai versati, mobbing e molestie di ogni tipologia.
 
Nell’ambito di una profonda crisi economica e sociale destinata ad ampliarsi in maniera esponenziale in seguito alla pandemia, lo Stato si appresta ad affrontare in termini di controllo sociale e repressione quasiasi tipo di rivendicazione diretta, in linea con la circolare del ministro Lamorgese, che invita prefetti e questori a preservare le strutture della legalità e del dominio, e ad alzare il tiro su chi intende lottare.
 
Come rete bolognese di iniziativa anticarceraria esprimiamo solidarietà agli/alle attiviste colpite della Procura e invitiamo a sostenere il loro crowdfunding per le spese legali https://www.gofundme.com/f/finanziamento-spese-legali-per-il-padrone-di-merda?fbclid=IwAR1R1v8MDsNjF37DlY9t-HqmXUeJmvrZ0m5hTXN0qpdfW_xs8mVpak6rn4A
 
Contro i padroni di merda, contro tutti i padroni!
 

Una lettera da Elena e Nicole

Una lettera inviata da Elena e Nicole che hanno chiesto di pubblicare.
 
Carcere di Piacenza, 15 maggio 2020
 
Grazie a tutti voi!
Grazie per il kit di buste e bolli!
Io (Nicole) ed Elena siamo in AS3. Siamo arrivate alle 11.30 circa del 13 Maggio, dopo un primo passaggio in una tenda posta esternamente per misurare la temperatura corporea alle nuove detenute, siamo state messe in isolamento sanitario per 15 giorni (celle singole ma adiacenti). Non possiamo accedere alla palestra e alla biblioteca, dopo che c’eravamo state per 2 giorni, causa emergenza Covid e nostro isolamento. Dopo tale misura non saremo più potenziali veicoli di infezione… dopo una nostra incazzatura ci hanno dato 4 libri e ci stanno preparando il regolamento interno (è dall’ingresso che lo chiediamo)… vedremo.
Abbiamo 2 ore d’aria al dì, da fare separatamente dalle altre sempre per emergenza Covid e quindi le facciamo assieme (con mascherina) alle 12-13 e 15-16.
Come saprete qui c’è anche Natascia che al momento riusciamo a vedere solo di striscio quando attraversiamo il corridoio, ma i suoi sorrisi sono stati e sono fondamentali. Speriamo di poterla abbracciare presto. Oggi abbiamo avuto l’interrogatorio e ci siamo avvalsi della facoltà di non rispondere. Eravamo in videoconferenza insieme a tutti gli altri.
Lunedì vedremo gli avvocati. Di ieri la notizia che dal 19 c.m. al 30/06 riprenderanno i colloqui visivi e saranno mantenuti i colloqui via Skype. Questa operazione (che ci pare aver capito chiamata “RITROVO”?) ha quali capi di imputazione l’ormai noto 270 bis e 270 bis1 (aggravante) per 11 su 12, istigazione a delinquere tramite articoli, volantini e manifesti con l’aggravante dell’uso di strumenti informatici – Tribolo.noblogs.org e la piattaforma roundrobin.info -; danneggiamento di un Bancomat BPER nel corso di una manifestazione non autorizzata il 13/02/2019; imbrattamento e deturpamento con vernice spray su edifici a Modena e Bologna con scritte comparse dal dicembre 2018 ad oggi per tutti. Incendio, per uno degli imputati più altri allo stato da identificare, ai ponti ripetitori delle reti televisive in via Santa Liberata (Bo) nella notte tra il 15 e il 16/12/2018.
Che dire?… “la commissione dei reati – fine […] non è necessaria” (cit. pag.21 ordinanza)… forse l’ennesimo tentativo dopo Outlaw e Mangiafuoco – finite in una bolla d’aria – di chiudere la bocca a chi “odia gli sfruttatori” (cit. pag.20 ordinanza)? E cosa più importante non ne fa un mistero ma lo urla al mondo. L’ordinanza porte il timbro del 6 marzo. Ci chiediamo se questi miseri esseri senza qualità abbiano deciso di rimandare il nostro arresto al 13 Maggio per risparmiarci l’ingresso in carcere nel pieno dell’emergenza Covid19 o se lo abbiano fatto per evitare in quel periodo ulteriori presenze scomode e ribelli nelle gabbie di Stato. La risposta viene da sé. Medici e guardie, fusi in un corpo unico qui come altrove, si rivendicano la loro «scelta di vita». I medici in particolare, incalzati dalle nostre domande provocatorie sul loro ruolo durante la prima visita, hanno fieramente sostenuto di svolgere il loro lavoro per la tutela della salute delle persone in galera.
A conti fatti, visti i morti e i malati di e in carcere, non possiamo che concludere e urlargli in faccia che il loro lavoro lo fanno decisamente male nonché in completa armonia con le guardie.
Non può esistere in luoghi del genere, la tutela della salute delle persone, per ciò che questi luoghi sono e rappresentano. L’unica sicurezza è la libertà per tutte e tutti.
 
Volevamo ringraziare tutte quelle persone che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza con i telegrammi, tanti; forse dall’esterno sembra una sciocchezza ma qui ci hanno scaldato il cuore e lo spirito. Il nostro pensiero va, in primis, a Stefy poiché è l’unica tra noi sola nel carcere di Vigevano e a tutti i nostri amici e compagni di lotta a Ferrara e Alessandria, a quelli raggiunti da obbligo di dimora nel Comune di Bologna e alle compagne e ai compagni fuori che continnuano a lottare insieme a noi.
 
Nicole e Elena
 

Biciclettata/presidio venerdì complici e solidali con gli/le arrestate

In questo momento come rete anticarceraria pensiamo sia importante non lasciare le compagne e i compagni soli, perché la nota della Procura, nero su bianco è gravissima e ci tocca tutte e tutti, e in particolare chi di noi si era raccolto/raccolta intorno alla mobilitazioni sul carcere.

Le istituzioni totali esistono ancora, tra violenza e abbandono, con le persone dimenticate dentro. Con la situazione esasperata dall’emergenza, ‘dentro’, tutte queste persone si stanno ammalando, sempre di più, stanno morendo e continueranno a morire, vittime sacrificali di questa pandemia e di questo sistema.

Di istituzioni totali tocca parlarne, oggi più che mai, gli anarchici lo hanno sempre fatto ma la procura ha voluto farci sapere che non conviene avvicinarsi e sostenere queste lotte, 
proprio per spezzare quella solidarietà che stava sostenendo le rivolte dei detenuti, mettendo in luce i pestaggi e il silenzio seguito a quei giorni, per chiedere indulto, amnistia e libertà per tutte e tutti.

Quest’ennesima operazione repressiva dimostra come il carcere, strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, stia diventando ogni giorno sempre di più un orizzonte concreto per gli oppressi e le oppresse, che non si adeguano, che non vogliono o non possono diventare conformi, che lottano, che credono in una prospettiva altra. Descrivere chi vive la solidarietà come “istigatore” è l’ennesimo tentativo manipolatorio dello Stato.

Ciò che spaventa di più il potere è l’esistenza di individualità che di fronte alla glaciazione sociale e alla fine apparente di ogni critica allo Stato e al capitale continuano ad alzare la testa sfidando la tirannia dell’autorità e della merce, contro le strutture del dominio e dello sfruttamento.

L’obbiettivo strumentale la Procura lo scrive nero su bianco: prevenire tensioni sociali e spezzare le lotte anticarcerarie.

Un sabotaggio del 2018 torna fuori in tempi di emergenza a scopo preventivo, per colpire tutte quelle individualità che sostengono apertamente l’azione diretta; allo Stato non rimane che immobilizzare l’idea, nella vana speranza che in tal modo anche la necessità della lotta si esaurisca.

Il potere teme tutti i piccoli segni di insoddisfazione e agisce ‘preventivamente’ brandendo il 270bis, sperando di mettere a tacere le lotte , criminalizzando chi solidarizza coi compagnx dei detenuti e con le mobilitazioni anticarcerarie, chi frequenta gli spazi sociali che rifiutano di legalizzarsi, chi non si arrende a questo sistema basato sullo sfruttamento, chi non fa dell’obbedienza virtù.

L’effetto che si spera di ottenere è rinforzare l’attendismo e il senso di rassegnazione, la paura, un’intimidazione verso chiunque scelga apertamente di sfidare il potere.

Noi pensiamo invece che sovvertire le ingiustizie è una responsabilità di tutte e tutti!

Siamo complici e solidali con le/i comapagnx arrestatx, e con chiunque chiunque lotti e si ribelli contro le strutture del dominio e dello sfruttamento, per un mondo di liberx e uguali.

Terrorista è lo Stato che spegne le coscienze e soffoca il dissenso.

Tuttx liberx

Venerdì 2 maggio aderiamo alla bicicettata fino alla Dozza e al presidio!
Ore 17:00: Concentramento in Piazza dell’Unità
Ore 18:00: Presidio sotto al carcere